Bologna. 2 agosto 1980. Stazione centrale. Una bomba uccide 84 persone. Roma. 9 maggio 1978. Via Caetani. Nel cofano di una Renault 4 rossa c’è il cadavere di Aldo Moro. 4 agosto 1974. Una bomba esplode nella vettura numero 5 dell’espresso Roma-Brennero. 12 morti e 50 feriti, ma per una questione di secondi è evitata una strage spaventosa: se l’ordigno fosse esploso nella galleria che porta a San Benedetto Val di Sambro, i morti sarebbero stati centinaia.
Brescia. Piazza della Loggia. 28 maggio 1974. Una bomba fa otto morti e più di cento feriti. Milano. Piazza Fontana. 12 dicembre1969. Una bomba uccide 16 persone e ne ferisce 88.

Roma 2008. Da Bologna sono passati ventotto anni, altri trenta dall’uccisione di Aldo Moro. Trentatrè anni è lontana “Piazza della Loggia” e quasi quaranta “Piazza Fontana”. Stanno ormai laggiù gli anni Settanta, impacchettati dalla storia dentro una lastra spessa di vetro infrangibile. Finiti, fermi come documenti archiviati ma ancora vicini, ancora afferrabili e odoranti di vita. Trent’anni. Tanti e pochi. Il tempo necessario perché i giovani non sappiano ma anche un intervallo insufficiente perché la Storia sia solo memoria su carta. Gli anni Settanta: il salto in un palazzo accanto fatto di altre regole, altri pavimenti, stanze e colori. Un condominio dai pensieri collettivi decisi, zeppo di energia e di ideologia. All’ombra del muro, con la guerra in soffitta e il suo ricordo vicino. Coi fascisti e i partigiani sul comodino, coi libri, la politica (ed altro) accanto al piatto. Oggi che gli anni Ottanta sono entrati nella Storia spenti e luccicanti, brilli di amori, di esami e di pallone, e che i Settanta si sono caricati, per contrasto e naturale stagionatura, di un fascino brizzolato e rugoso, epico e denso.

 

Schermi di piombo (Christian Uva, Rubbettino editore) è un libro che rilegge gli “anni di piombo” italiani (e tedeschi) attraverso il cinema. Segue la scia di una tendenza cinematografica italiana recente che va da Signorina Effe, a Guido che sfidò le br, da Mio Fratello è figlio unico e La Meglio Gioventù, passando per In Fabbrica di Francesca e Romanzo Criminale di Michele Placido. Nel libro di Uva, film e fatti storici stanno sottobraccio a fare strada assieme, coi primi umilmente e saggiamente al servizio della storia vera. Tanti titoli, in ordine semi-cronologico, aperti e scandagliati con attenzione, cultura ed esperienza. Registi, studiosi, generi cinematografici e titoli, per dare più valore al cinema e nuova luce alla realtà. Film diversi per qualità e coscienza, utili, a distanza, i primi quanto i secondi. Da Sbatti il mostro in prima pagina, (Marco Bellocchio, 1972), a Piazza delle cinque lune, (Renzo Martinelli, 2003). Da Colpo di stato, (Luciano Salce, 1968), a Ogro, (Gillo Pontecorvo 1979).  Da San Babila ore venti: un delitto inutile (Carlo Lizzani, 1976) a Maledetti vi amerò (Marco Tullio Giordana, 1980), passando per La polizia accusa: il servizio segreto uccide, (Sergio Martino, 1975), a Giù la testa, (Sergio Leone, 1971). Sono più di cento, alla fine del libro, i film citati. Alcuni per una frase, una bandiera sventolata, poche sequenze in cui si sfiora l’argomento. Altri, fondamentali, per il loro esplicito e totale contributo all’approfondimento del tema.

A più di un anno di distanza dall’uscita del libro, la Sala Trevi di Roma ha trasformato le parole di Uva in immagini da vedere con calma. Quello della Sala Trevi è un lavoro fondamentale poiché offre la possibilità di vedere o rivedere (in pellicola) opere spesso completamente dimenticate se non proprio del tutto scomparse o censurate. Grazie alla Sala Trevi e al Centro Sperimentale di Cinematografia, Schermi di piombo si è trasformato in una rassegna cinematografica interamente in pellicola. “L’idea – ha spiegato l’autore del libro – è nata dalla Cineteca Nazionale che, nella persona di Sergio Toffetti, si è interessata al volume e mi ha proposto di collaborare per progettare una rassegna cinematografica e un convegno accademico. Per quest’ultimo, il mio primo riferimento all’Università Roma Tre è stato Vito Zagarrio con il quale abbiamo discusso della fisionomia del convegno e dal quale ho ricevuto preziosi consigli su come mettere in piedi il tutto. Grazie a Giorgio De Vincenti, direttore del Dipartimento Comunicazione e Spettacolo di Roma Tre, e ad Arturo Mazzarella, presidente del DAMS, ho avuto la possibilità di rendere concreto il progetto, coinvolgendo studiosi italiani e stranieri con i quali avevo avuto modo di confrontarmi anche di recente su queste tematiche”.

La rassegna offre la possibilità di andare a perlustrare certi angoli di cinema italiano a cui il tempo non ha dato ancora visibilità ma che invece appartengono a nomi che del cinema italiano hanno fatto e stanno facendo la Storia. Pensiamo al cinema di Marco Tullio Giordana o a certi film di Dino Risi presenti nella rassegna. Si tratta della prima retrospettiva sul tema e può sembrare strano e curioso che un regista come Dino Risi, tra i principi indiscussi della commedia all’italiana, ne faccia parte. Ma non troppo se si pensa che i generi, almeno fino a tutti gli anni ’70, hanno rappresentato un fondamentale filtro attraverso il quale guardare alla realtà degli anni di piombo.  “Del resto Mordi e fuggi – chiarisce lo stesso Uva – è del 1973 ed è praticamente il primo film sulle Brigate Rosse”. E come Risi, altri registi poco famosi per il loro interesse politico si possono ammirare nella rassegna Schermi di piombo. Pensiamo a Luciano Salce di Colpo di Stato o de Il belpaese, a Segio Martino di La polizia accusa: il servizio segreto uccide, al Fellini di Prova d’orchestra, a Luigi Comencini di Cercasi Gesù, a Lina Wertmüller di Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada e persino a Rossellini de La macchina ammazzacattivi.

La rassegna Schermi di piombo ripropone quell’intreccio tra cinema e storia che caratterizza l’Italia più di altri paesi europei. C’è più Storia del cinema italiano o più Storia d’Italia in questa rassegna? Ma la risposta è che la storia del cinema italiano, nel bene e nel male, è specchio della storia del nostro Paese. Dunque le due cose vanno di pari passo. Uva ha chiarito come la nutrita filmografia alla quale ha attinto dimostri proprio come un discorso composito, articolato e approfondito sulla stagione degli anni di piombo possa emergere solo dalla somma delle suggestioni, dei suggerimenti, degli sprazzi di verità che ciascuna opera, anche in minima parte, è stata in grado di offrire. Sarà solo con la fine degli anni Settanta, per altro, che alcuni grandi nomi del cinema italiano si avvicineranno all’argomento: Bertolucci, (Bernardo e Giuseppe), Gianni Amelio e lo stess
o, allora giovane, Marco Tullio Giordana. E questo per dire dell’eterogeneità dei film che, tutti insieme, hanno fermato la storia del nostro paese. Christian Uva ha ricordato che gli “schermi di piombo” sono senz’altro molto articolati: “Si è trattato di un lungo e delicato lavoro per il quale si è dovuto rendere merito a Domenico Monetti e Luca Pallanch della Cineteca Nazionale, artefici per altro dell’organizzazione dei preziosissimi incontri alla sala Trevi che vedono la partecipazione di registi, sceneggiatori, attori, giornalisti di fama“.

 

Non poteva mancare, in questa rassegna, tutto il cinema su Aldo Moro: da Todo Modo a Il caso Moro, da Buongiorno, notte a Piazza delle cinque lune.  Il film di Petri (Todo Modo) non è per niente facile da trovare in giro ed è un’opera di straordinario valore, come alcuni altri film della rassegna, veri e propri capolavori nascosti. Pensiamo a Il Terrorista di Gianfranco Bosio: film precedente alla stagione cosiddetta degli anni di piombo, ma pieno di utilità storica e di valore cinematografico. “La pellicola – ha spiegato il curatore della rassegna – costituisce un’interessantissima riflessione sulla storia italiana più recente, ma anche su un periodo già ampiamente percorso da fremiti inquietanti”. Nel 1963 infatti, ancora in sintonia con la tradizione cinematografica del dopoguerra e concludendo il ciclo dei film resistenziali sul periodo fascista, Il terrorista, porta l’attenzione sulla vicenda di Renato Braschi (Gian Maria Volonté), esponente del Partito d’Azione e capo di un gruppo di partigiani deciso a proseguire le sue azioni di sabotaggio nella Venezia della Repubblica di Salò, nonostante l’invito dei superiori alla prudenza e alla sospensione degli attentati.  Come ha sottolineato Maurizio Fantoni Minnella, “è la prima volta che il termine “terrorista”, come sostantivo riferito ad una specifica condizione umana e politica, fa la sua apparizione in ambito strettamente cinematografico”. Di particolare importanza è infatti quest’opera per il rilievo che in essa viene dato alla delicata questione semantica relativa al sostantivo “terrorismo”, definizione che, come è noto, è tuttora fermamente respinta dagli ex brigatisti e da loro attribuita a chi, differentemente dalla loro strategia mirata a precisi obiettivi politici, ha utilizzato l’esplosivo e la violenza indiscriminata tipica dello stragismo. Nel film di De Bosio, assume una specifica valenza la scena in cui si vedono raccolti intorno ad un tavolo i rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale all’indomani di un sanguinoso attentato ai danni dei tedeschi da parte dei partigiani: da un lato ci sono i Liberali, che si dichiarano favorevoli ai sabotaggi, ma non alle azioni terroristiche con morti e bombe, dall’altro l’esponente del Partito d’Azione, secondo il quale il vero terrorismo è quello dei tedeschi e delle loro rappresaglie (si pensi agli echi dell’eccidio delle Fosse Ardeatine seguito all’attentato di via Rasella).

Un altro titolo che compone la rassegna è Io ho Paura di Damiano Damiani, definito nel libro Schermi di Piomboil documento più raggelante sugli anni di piombo“.  È un’espressione di Roberto Curti che Uva ha sposato in pieno “perché si tratta di un’opera che, come in pochi altri casi, grazie alla figura dell’innocente capitato in un gioco più grande di lui (il questurino pasoliniano interpretato da Volonté) mette in scena paradigmaticamente quel senso di precarietà esistenziale di cui gli anni di piombo sono stati pervasi”.

Della rassegna fanno parte anche alcuni incontri. Dopo i primi due del 27 aprile con Carlo Lizzani per San Babila ore 20: un delitto inutile e del 29 aprile con, tra gli altri, lo stesso Lizzani, Sergio Martino e Luigi Perelli, ora si preparano quelli del 13 maggio (sul “Paese mancato”, con Vincenzo Cerami, Guido Crainz, Italo Moscati, Sandro Petraglia), del 14 maggio (sul Caso Moro, moderato da Vito Zagarrio con Giovanni Bianconi, Giuseppe Ferrara, Roberto Herlitzka, Alan O’Leary, Maurizio Salticchioli), del 15 maggio (sul ’77 e l’ala creativa, con Claudio Caligari, Nicola Caracciolo, Nico Cirasola, Renato De Maria, Pablo Echaurren, Marco Erler, Giancarlo Scarchilli, Vincenzo Sparagna, Pasquale Squitieri), del 16 maggio (sul ritratto di una generazione prima e dopo il terrorismo, moderato da Pierpaolo De Sanctis con Beppe Cino e Vittorio Sindoni), del 21 maggio (sul terrorismo tra cinema e narrativa, moderato da Arnaldo Colasanti e Christian Uva, con Franco Bernini, Mimmo Calopresti, Silvia Dai Prà, Francesca d’Aloja, Giancarlo De Cataldo, Marcello Fois, Wilma Labate, Marco Leto, Gabriele Marconi, Sergio Toffetti) e infine quello del 22 maggio (su una generazione “invisibile”, con Pasquale Squitieri e Italo Moscati)

Tra i vari incontri ce n’è uno che sembra davvero interessante. Si Terrà al Dams giovedì 8 maggio e si tratta del convegno internazionale “L’immagine del terrorismo tra cinema e televisione”. I lavori cominceranno alle 9.30 presso il polo DAMS di via Ostiense 133b e proseguiranno per tutta la giornata articolandosi in quattro sessioni così distinte: 1) “ITALIA IN AUTUNNO” (Presiede Giorgio De Vincenti, Università Roma Tre, con interventi di Carlo Testa, University of British Columbia, Strade indispensabili, strade utili, strade frivole nel cinema politico italiano del dopoguerra; Vito Zagarrio, Università Roma Tre, Segreti e segrete. Il terrorista e la terrorista in Bertolucci, Giordana e Turco; Enrico Menduni, Università Roma Tre, Giudici e telecamere; Christian Uva, Università Roma Tre, Italia p38. Il terrorismo e il cinema di genere); 2) “TODO MORO: 1978-2008” (Presiede Sergio Toffetti, Cineteca Nazionale-Centro Sperimentale di Cinematografia, con interventi di Nicoletta Marini-Maio, Dickinson College, Uno spettro si aggira per l’Italia: le due
trame dell’Affare Moro; Anna Lisa Tota, Università Roma Tre, Cinema e giustizia. Riflessioni sullo statuto delle vittime e dei testimoni; Alan O’Leary, University of Leeds, L’intreccio della Storia: Aldo Moro, il cinema, e il topos del complotto; Enrico Carocci, Università Roma Tre, L’affaire Moro al cinema: paura e immaginazione); 3) Terza sessione: “GLI ANNI DI PIOMBO TRA SCHERMO E STORIA” (Presiede Arturo Mazzarella, Università Roma Tre, con interventi di Giancarlo Monina, Università Roma Tre, Percezioni e rappresentazioni della crisi politica e istituzionale; Marco Gervasoni, Università del Molise, Dopo il sabba. Terrorismi e terroristi nell’immaginario degli anni Ottanta; Guido Panvini, Università della Tuscia, Il senso perduto. Il terrorismo italiano tra cinema, storiografia e uso pubblico della storia); Quarta sessione: “TERRORISMI E TERRORISTI TRA CINEMA E TELEVISIONE” (Presiede Vito Zagarrio, con interventi di Franco Monteleone, Università Roma Tre, La notte fonda della Repubblica: come la TV ha raccontato il terrorismo; Giancarlo Lombardi, College of Staten Island & Graduate Center/CUNY, Sbatti il terrorista in prim
a serata.  Terrorismo e fiction TV; Pierpaolo De Sanctis, Università Roma Tre, Prima del piombo, dopo la rivoluzione. Distonie nel cinema italiano del ’68-’77). Il convegno è a cura di Christian Uva e la segreteria organizzativa è costituita da Enrico Carocci, Pierpaolo De Sanctis, Michael Cardarelli, Sabrina Liccardo e Sara Mesa.

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