“Tutto ciò che piove dal cielo è un dono divino, e puoi tenerlo”. È la legge non scritta degli abitanti di un piccolo villaggio nelle steppe del Kazakistan. Vale per tutto, si tratti di mele o di frammenti di astronavi.

Già, perché il villaggio sorge vicino alla base di lancio spaziale di Baikonur, la più grande al mondo. Quando non travolgono il malcapitato di turno o non distruggono abitazioni, le lamiere di razzi e serbatoi vengono recuperate dalla popolazione locale e riciclate per i più disparati scopi, o conservate come cimeli da collezionismo. Un giorno, al posto dei consueti rottami, il giovane Iskander ritrova nella steppa un’affascinante cosmonauta francese, Julie Mahé (Marie de Villepin). È priva di sensi e al risveglio non ricorda nulla. Il ragazzo, appassionato com’è di tutto ciò che riguarda lo spazio (è infatti soprannominato “Gagarin”) sa però già tutto di lei, avendo assistito alla tv alle sue imprese, e se ne è innamorato ancor prima di conoscerla. Si prenderà cura di lei, e cercherà di convincerla di essere il suo promesso sposo.

Baikonur del tedesco Veit Helmer (Absurdistan), in concorso al Napoli Film Festival, ha il suo pregio maggiore nel tocco surreale e un po’ naif del regista. Con leggerezza viene rappresentato il contrasto tra un microcosmo chiuso e provinciale, come quello del villaggio – in cui ci si sposta prevalentemente su bestie da soma e le vasche da bagno sono un lusso – e il mondo dei cosmonauti, lo spazio con il suo senso di immensità, l’idea di futuro e progresso. Con tratti delicati sono descritti i personaggi principali. Iskander (Alexander Asochakov) è il classico timido con la testa tra le nuvole, sogna astronavi e missioni nello spazio, è stregato dalla donna venuta dal cielo (che, come nelle fiabe, risveglia con un bacio) e non si accorge della ragazza che è da sempre accanto a lui. La bella Julie, ambigua e spaesata, oscilla per un po’ tra fiducia e diffidenza nei confronti del suo salvatore, per poi recuperare la memoria e chiudere la relazione, chiedendogli di considerarla soltanto un bel sogno ormai concluso. Nazira (Sitora Farmonova), terzo vertice del triangolo, un po’ in disparte rispetto agli altri due, soffre in silenzio per la gelosia e la scarsa attenzione da parte di Iskander, ma riesce anche a dargli saggi consigli e ad essere una sorta di grillo parlante.

Funzionali al racconto, riempiono poi gli occhi le suggestive inquadrature delle steppe desertiche del Kazakistan.

La scelta di ambientare ai giorni nostri una storia che si è inconsciamente indotti a immaginare nel passato (la guerra fredda, la corsa allo spazio…) conferisce al film una vaga dimensione onirica e fiabesca.

Il cosmodromo di Baikonur (reale location delle riprese), costruito dall’Unione Sovietica negli anni Cinquanta, è stato la base di partenza di molte spedizioni storiche, come quella di Yuri Gagarin, primo uomo nello spazio. La base è ancora attiva, sotto il controllo dell’Agenzia Spaziale Russa, nonostante si trovi in effetti in territorio kazako.

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