Benh Zeitlin si è rallegrato di portare anche in Italia il suo premiatissimo film Beasts of the Southern Wild, diventato Re della Terra Selvaggia per il mercato nazionale. Questa è una Fiaba. Questa è la fiaba dei Territori del Sud, che si inabissano lentamente nel Golfo, spariscono nel mare, vengono inghiottiti a poco a poco, trascinando inesorabilmente con sé l’Heimat e le comunità marginali che ospita.

Questa è la fiaba del Muro, quello che protegge e separa i Territori del Sud dal mare, il muro che recinge una civiltà e una Status dove per vivere devi essere uguale, mai diverso. I Diversi stanno oltre il muro, verso il mare, nella Terra di Nessuno. Vivono come zingari felici, ma in uno zoo che si va assottigliando.

Questa è la fiaba della “piccola principessa” Hushpuppy (“Zitto cucciolo”, letteralmente), millimetricamente costruita sulla struttura narrativa dei Fairy Tale, come ci insegnò Propp. Alla principessa manca qualcosa, ha subito un allontanamento. Le manca la Madre, scappata via dalle terre desolate. E sta per avere una perdita. Come nelle fiabe: il suo papà è malato, ma si prende cura bizzarramente di lei fino a che le forze lo sosterranno. Ma ne rifiuta la troppa vicinanza per paura che lei gli si affezioni troppo, e quindi soffra maggiormente l’inevitabile distacco.

La Principessa Hushpuppy vive nella sua casa (una baracca posta prudenzialmente su bidoni galleggianti), che è la sua magione, dove vive immersa nella rinfusa di vesti e di cose appartenute a sua madre, mentre il padre, Wink, abita di fronte, nella baracca dove cucina immancabili polli stecchiti. La sua reggia.

E poi c’è una seconda attesa. L’attesa dell’Evento, quello grosso. The Big One, come in California. Ogni Stato aspetta l’Evento Catastrofico, catartico. In questa fiaba, l’Evento è incarnato dallo sciogliersi dei ghiacci polari, che uniti agli uragani si mangeranno la Terra. E se la mangiano due volte, perché il Muro che fa da argine non consente il deflusso delle acque. Il muro fa da corteccia cellulare alle Terre Protette. E noi, modestamente in Europa, di muri ne sappiamo qualcosa.

Hushpuppy vive come Mowgli, nella Natura, e se la deve cavare. La sua comunità è fatta di reduci e ubriaconi, ma umani e in grado di ridere e festeggiare anche ogni giorno, se in giro c’è una bottiglia di alcol.

E tutto sembra filare liscio, finché gli eventi non accadono. Il Giaccio si liquefa. L’Uragano arriva e sommerge le Terre di Nessuno, affogando animali e case. Wink arriva anche lui a fine corsa. Il suo Sangue è marcio, impazzito, non porta più nutrimento ma veleno alle fibre che irrora, e il corpo decade. Come il mare che corrompe le Terre, così il Sangue di Wink ne distrugge i tessuti. Non c’è scampo.

Ed è quindi ora di partire, di affrontare il Viaggio, che è il secondo momento delle Fiabe, sempre secondo il maestro strutturalista Russo. Il viaggio e le sue prove. I suoi pericoli, i suoi incontri. La Principessa e i suoi valletti affrontano l’Ignoto, come aveva fatto prima di lei sua madre. E per mare si avventurano, su una barca si avventurano, infine in un approdo si avventurano, una casa di appuntamenti. Che forse non esiste, perché l’insegna ci avvisa che è la casa dei Campi Elisi.

Si perché questa è una fiaba del fango e dell’emarginazione, di comunità disperse nelle lande desolate, di sopravvivenza pura. E’ la fiaba dell’enorme Periferia del Mondo, dove stiamo finendo tutti quanti. Tutti oltre il muro, in faccia all’Oceano.

Dentro la “Elysian Fields Floating Catfish Shack (Girls Girls Girls)”, sono tutti personaggi di Kerouac, riuniti in una improbabile casa galleggiante di appuntamenti. Dove non c’è Redenzione, e non si può incontrare l’oggetto desiderato, la Regina fuggita. Anche se Lei è lì, a cucinare alligatori in pastella. Il cibo di Wink, il cibo primordiale. Il Contatto avviene, la Magia filtra da madre a figlia, ma non può essere detto.

La nostra eroina ha toccato il suo mito, si è trasformata, ed ora può fare ritorno. Siamo quindi al terzo atto della fiaba. Il Ritorno, il “nostos” (νόστος) degli eroi greci, il dolore e l’angoscia  (Ἄλγος, “algos”) che muove verso Casa. Verso l’Heimat. La Nostalgia, secondo l’etimo.

Ma siamo sicuri che sia proprio così, che questa sia l’interpretazione possibilmente giusta? Si. Perché Hushpuppy incontra sulla strada retroversa gli Aurochs, creature primordiali (in realtà maialini thailandesi ammaestrati, come ci ha raccontato il regista) un po’ improbabili ― bloccati in un ancor più improbabile ghiaccio dal tempo dei tempi, e la cui fusione li ha riportati in vita. Questi cinghialoni cornuti scorrazzano qua e là per la Fiaba, con l’unico scopo di giungere alla scena finale, dove minacciano― enormi ― l’eroina. La quale, oramai è trasfigurata, è diventata se stessa, ha accettato il suo ruolo, e può quindi ammansire gli scrofoni con il solo sguardo (magico).

L’eroina è riconosciuta. E’ tornata a casa. Ha cibato il padre con l’alligatore preparato dalla madre, ha compiuto il suo ciclo e si predispone ad officiare gli ultimi riti sacrificali.

Ma siamo in Louisiana?  La fiaba parla dell’oggi, dell’”Hic et Nunc”? E’ per caso una pellicola di critica sociale?

Si e no. Come in tutte le fiabe, il posto è imprecisato, il tempo è indefinito. Il bravo e simpatico regista Benh, non a caso, se parla del suo film ― scandisce bene: “Once Upon a Time…”. Perché in quel “C’era una volta” non ci sono apparentemente riferimenti diretti alle persone, alle cose e ai fatti che conosciamo, nessuno si offende. E tutto si può dire. E nulla si deve citare.

La Fiaba ― noi oggi lo sappiamo bene ― è un racconto al femminile, enunciato da donne, all’interno del focolare. Per i bambini oggi, ma non lo era ieri. Ieri era rivolto soprattutto alle giovani donne, ad un pubblico femminile espropriato della parola, cui nessuno (se non altre donne) insegnava la vita. Nessuno insegnava alle giovani che nella vita ci sono i lupi cattivi, o i Muri da abbattere. Nessuno ti dice cosa accade veramente, nessuno ti prepara alla morte.

E allora i racconti delle fiabe sono completamente diversi dalla letteratura “alta”. Sono pieni di paure e terrori da superare, sono pieni di indicazioni utili per la sopravvivenza, sono storie che ti spingono a lottare per vivere, con ostinazione ed orgoglio. A non mollare mai, come accade nelle Comunità che (davvero) vivono libere e brade nel Sud della Superpotenza Imperiale americana, oltre il muro (vero) che protegge la Louisiana dalla prepotenza del mare.

Il racconto viene narrato da donne, a voce, assume aspetti e caratteri locali, si mischia con la terra dove attecchisce. Si mischia coi cibi, con gli umori, con le parole di tutti i giorni. Si mischia perfino coi gamberi e i granchi. I nomi cambiano, gli oggetti cambiano, ma il racconto rimane identico. Nelle sue mille, infinite variazioni, rimane se stesso. Non ci sono Autori, c’è la Fiaba. Non ci sono evoluzioni psicologiche, ci sono trasfigurazioni e azioni. Non ci sono neanche i Diritti d’Autore, i famigerati Copyright, le proprietà intellettuali, come nella letteratura com
petitiva industriale di stampo maschile. La Fiaba viola tutto questo. E’ fatta per violare i divieti, per superare le proibizioni. Per adattarsi alla vita, per sopravvivere alle variazioni.

Non a caso anche questa Fiaba nasce da una sceneggiatrice, Lucy Alibar, come mix di vari racconti e pièce teatrali.

Sciaguratamente, le fiabe ufficiali di oggi sono ridotte ad una poltiglia dolciastra ad uso esclusivo dei bambini. Un modo per rimbecillirli. Ma per chi sa ― e chi ha fatto (e sostenuto) questo film, lo sa ― le fiabe sono tutt’altro. Parecchi di voi rimarrebbero a dir poco sorpresi nel conoscere la vera storia di Cenerentola, o della Bella Addormenta.

Per fortuna abbiamo ancora il cinema che ospita (e inopinatamente dà vita) alle Fiabe. Sì, spesso non fa letteratura, ma racconta storie dure, e terribili, legate inscindibilmente al mito. Anche Storie di Bestie del Selvaggio Sud. Che non sono però i mitologici Aurochs.

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