Era prevedibile. Quel mio amico con la mail ultimouomosullaterra@eccetera non c’è nemmeno andato a vedere Io sono leggenda, così da non rompere il magico ricordo della visione di The Last Man on Earth, appunto L’ultimo uomo sulla terra (1961) di Ubaldo Ragona, girato a Roma nel quartiere Eur, celebre per la sua architettura razionalista, e con attore protagonista un indimenticabile Vincent Price. Entrambi sono stati tratti dal romanzo di Richard Matheson che porta il medesimo titolo del film in circolazione nelle sale italiane. Vale la pena dire che lo scrittore americano ha più che ispirato Romero in La notte dei morti viventi, che Spielberg ha preso da lui Duel, che Matheson ha poi sceneggiato per Corman i racconti di Edgar Allan Poe, e che è stato adattato per lo schermo anche il suo Tre millimetri al giorno, con titolo italiano di Radiazioni BX: distruzione uomo (1957) di Jack Arnold. Inoltre ha scritto alcuni degli episodi più memorabili di Ai confini della realtà.

Alla regia della riedizione di Io sono leggenda hanno invece messo un certo Francis Lawrence. Chi è, vi domanderete voi? Ce lo siamo chiesto anche noi. Si tratta di un volenteroso regista, prima di video musicali, e poi di un’opera prima cinematografica: Costantine (2004). La ricordate? No? Be’ nemmeno io. Di conseguenza ha fatto bene quel mio amico a non andare a vederlo, e in effetti il risultato finale era prevedile. Ma queste non sono altro che le tristi consolazioni del dopo visione.

Per meglio digerire la delusione conviene scrivere. Partiamo dalla storia: in seguito ad un’epidemia l’intera umanità è stata distrutta, in parte rimpiazzata da pericolosi vampiri/morti viventi. C’è però un uomo immune al virus, Robert Neville, che di giorno va a caccia dei succhiatori di sangue e di notte si barrica dentro casa. In questa versione, Will Smith vaga in una New York invasa dalla natura selvaggia in compagnia di un cane, e ha a tracolla un’arma da fuoco con cui caccia i cervi. I luoghi più noti al mondo di New York city sono ripresi con alberi, radici e liane, quando non compaiono degli imprevedibili leoni. Questa volta il virus è il prodotto di una variazione genetica procurata per curare il cancro. La malattia e il timore dalla natura brada sono i due mostri evocati nello spettatore. Come dire: i principali incubi della civiltà occidentale. Tuttavia ben presto l’intonazione principale di Io sono leggenda si tinge di attualità. Almeno due le citazioni relative all’11 settembre, con quel ground zero che obbliga il sopravvissuto a resistere. Quei riferimenti respirano probabilmente l’aria del tempo ma contemporaneamente sono privi di una ragione interna al film.  Appiccicati alla buona, senza nemmeno troppa convinzione. Lo stesso discorso vale per la svolta “teologica” della narrazione, con l’apparizione della sopravvissuta Anne (Alice Braga) convinta che in tutto quel disastro apocalittico ci sia un disegno divino. Quest’idea dell’intervento di Dio nella fine del mondo è però degna di un Tarkowskij. Chi altri sennò?

Will Smith è stato tante cose assieme nella sua carriera. Era lui il nero di Sei gradi di separazione (1993) di Fred Schepisi che spinge la borghese Stokkard Channing a cambiare vita, ma è anche quello di Bad Boys di Michael Bay, di Independence Day di Roland Emmerich, di Men in Black di Barry Sonnenfeld, di Nemico pubblico di Tony Scott. Ed è stato anche protagonista di Alì di Michael Mann (nomination come miglior attore) e in La ricerca della felicità di Gabriele Muccino. Da una parte c’è il suo lato drammatico, dall’altra quello più gigionesco, altrimenti detto “cazzone”. Questa volta tenta di unire le due parti con risultati che lasciano perplessi. Provate a immaginarvi soli sulla Terra e con l’obbligo ogni sera di rimanere barricati dentro casa per non essere aggrediti dai vampiri e con dentro al cuore la pena di una moglie e di una figlia distrutti dal virus letale. Provate. Insieme cercate di capire come uscirne fuori: con molta probabilità questa situazione di isolamento totale può portare a una depressione, a un disamore per la vita, a un ragionare che si avvolge su stesso. Uno scenario che lascia intravedere esperimenti sociali, della serie: cosa accade se mettiamo un individuo in certe condizioni? D’altronde nella prima versione i sopravvissuti, col sangue non contaminato del dottor Neville, tentano di costruire una nuova società. In breve: il delirio esistenziale in cui precipita il protagonista male si coniuga con le spiritosaggini di Smith. In più l’attore non ha spazio sufficiente per sviluppare l’aspetto drammatico. Prevale infatti il patchwork di giochi da Luna Park in cui si imbatte scena dopo scena, come se Io sono leggenda fosse un catalogo-mondo di situazioni tipo, abbastanza vicino alle riviste dei prodotti da supermercato.

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