Il regista coreano E. J-yong è stato una delle dodici guest star presenti alla dodicesima edizione dell’Udine Far East Film Festival che ha selezionato la sua ultima opera The Actresses. E. J-yong ha al suo attivo film che hanno ottenuto un grande successo di pubblico e critica. Un esempio lo sono la sua prima regia cinematografica, An Affair (1998) e Untold scandal (2003), il film di maggiore successo di quell’anno in Corea del Sud. The Actresses è una vera novità per il cinema coreano, ha catturato una grande attenzione intorno a sé ancor prima che uscisse nelle sale, per il particolare genere mai utilizzato prima in patria. Il film si trova a metà strada tra la fiction e il documentario.

La storia si svolge nello studio fotografico di Vogue a Seul, durante la vigilia di Natale del 2008. Sei dive del cinema di diverse generazioni vengono ingaggiate per fare un servizio per la rivista, apparendo tutte insieme sulla copertina. Le attrici arrivano agli studi una dopo l’altra e tutte in modi diversi manifestano la propria iniziale tensione. Chi non si conosce si presenta all’altra e iniziano così molto semplicemente le chiacchiere tra queste donne che via via si animano. Le vediamo sottoporsi al trucco, fare la prova abiti e poi sedersi intorno ad una tavola sorseggiando Don Perignon, nell’attesa che arrivino alcuni gioielli per la conclusione del servizio. Le osserviamo lasciarsi andare nel raccontare alcune esperienze del loro personale vissuto, le loro idee, esprimere timori e aspettative per il futuro.

L’intento di E. J-yong è stato quello di mostrare uno spaccato della vera personalità di sei attrici famose coreane che si mettono a nudo, mostrando il loro animo. È un film ben costruito, dall’idea accattivante, con delle protagoniste carismatiche e diretto con sagacia.

L’incontro con la stampa e il regista si è tenuto presso al Teatro Nuovo “Giovanni da Udine”.

Da dove nasce l’idea particolare di questo film?

Volevo dimostrare agli spettatori come le attrici siano attraenti anche come persone normali, non sono solo brave professioniste. L’obiettivo primario è stato fare incontrare le stesse attrici nello stesso luogo e nello stesso giorno. Prima di iniziare a girare il film, ho ascoltato molto i loro pareri, mi sono confrontato e documentato, visto che si sarebbe parlato di loro, dei loro animi. La bellezza del film sta nella sceneggiatura, che è stata scritta da tutte loro, costruendola sotto i miei occhi, io ho dato una linea guida, ognuna poi ha dato vita alle proprie battute.

Com’è avvenuto il casting?

Inizialmente volevo almeno dieci attrici che rappresentassero il cinema coreano. L’ispirazione per realizzare questo progetto l’ho avuta da un’idea dell’attrice Youn Yuh-jung (la veterana del gruppo, la cui filmografia spazia da Insect woman di Kim Ki-young del 1972 a La moglie dell’avvocato di Im Sang-soo del 2003). Poche erano disposte a fare un film di questo genere. Tre sono i motivi per cui molte attrici non hanno voluto partecipare. Il primo perché si sentivano in competizione e non volevano che ci èpotesse essere un paragone da parte dello spettatore. Il secondo è che non volevano mettere in scena la loro vita e la loro persona senza filtri. Il terzo è che molte non hanno voluto girare senza un copione pronto in tutte le sue parti, in effetti, in alcune sequenze le sei attrici hanno anche improvvisato. Esistono due gruppi di attrici: uno disposto a collaborare e l’altro che vive nel proprio mondo.

Pensava che questa idea potesse riscuotere tutto l’interesse ottenuto?

Quando ho considerato di realizzare questo film non ho pensato di poter aspirare a un riscontro economico. Così ho fatto in modo di realizzarlo a basso costo. Riunire queste sei attrici è stato il punto di forza del film. The Actresses ha ricevuto una grande attenzione ancor prima che uscisse in sala, per il particolare genere mai utilizzato prima in Corea del Sud. Il successo notevole lo si è avuto già a partire dalla città di Seul.

C’è stata un’attrice con cui è stato più difficile lavorare sul set?

Tutte le sei attrici erano già disposte a lavorare, erano molto responsabili, proprio perché lo spunto per questo film è venuto da loro. Ho lavorato in precedenza con quasi tutte. L’unica che non conoscevo è stata Choi Ji-woo, che lavora in Giappone. Quando l’ho conosciuta sono rimasto sorpreso perché, attraverso questo progetto, ha voluto dare la sua vera immagine agli spettatori coreani e ai suoi fan.

Qual è il messaggio, se ce n’è uno, che ha voluto dare nel mostrare queste attrici come donne?

C’è stato il piacere di osservare nel profondo queste attrici e la loro storia, dando modo a molti spettatori coreani di cambiare idea rispetto ai pregiudizi che potevano avere su queste donne. C’è più di un messaggio che volevo emergesse, lo scopo è stato quello di condividere la loro essenza con gli spettatori, ho voluto far vedere com’è vivere in Corea per un’attrice e per una donna, inoltre volevo dimostrare quanto queste donne “speciali” siano normali esseri umani come noi.

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