Giovedì 11 Gennaio 2007. Conferenza Stampa del film La ricerca della felicità, di Gabriele Muccino. La proiezione è finita da un’oretta. Dal cinema Fiamma al Grand hotel Excelsior ci stanno cinque minuti a piedi. Per la stampa è stato organizzato un pranzo sobrio ma saporito. Nulla da dire: pennette al dente e tonno fresco di buon taglio. Finalmente il dibattito. Gabriele Muccino si è presentato in giacca e cravatta, dopo aver faticosamente domato una chioma di natura ribelle. Will Smith risulta un ragazzone con un vocione da mercato ed un sorriso da fanciullo. E’ caratterizzato da quella simpatia a pelle che o hai o non hai. Lui ce l’ha e la noti subito, pensando che da lì sia partita la sua storia. I due, regista e attore, parlano del film con la stampa e con la critica cinematografica italiana. Ma dicono anche tanto, e forse troppo, di quello che è, secondo la loro esperienza, il sogno americano. Ed è proprio Smith il primo a fornircene una descrizione, in rapporto al film:

 

Questo film viene rappresentato come un esempio per descrivere il sogno americano. Io preferirei definire il sogno americano come il sogno umano. Perché la sofferenza in funzione della felicità è un desiderio umano e non solo americano. Per me la ricerca della felicità è la possibilità di rispettare se stessi. Se rispetti e credi nelle decisioni che prendi, allora puoi essere felice…

Muccino aggiunge considerazioni di carattere ancor più generale e filosofico un po’ lontane dal film. Il che, in una conferenza stampa, può essere letto come un atteggiamento strategico.

La felicità è un viaggio che si fa per diventare migliori: più sani e più felici di quanto non siamo nel momento in cui partiamo. Siamo spinti dalla ricerca di un benessere che consideriamo più solido ma che abbandoniamo appena raggiunto, perché ci rimettiamo in moto verso qualcosa che non abbiamo ancora. La felicità è un sentimento molto breve, fugge via appena ci abituiamo ad essa. E’ l’assenza della felicità che ci fa camminare verso la ricerca della felicità.

Niente di nuovo e di trascendentale ma nemmeno niente di sbagliato… Il ghiaccio è rotto, ora i giornalisti entrano nello specifico: “come ha affrontato, signor Muccino, il problema di una sceneggiatura già pronta e di certo non scritta per lei?”

La sceneggiatura era molto solida e possedeva alcune intuizioni che ritengo toccanti. Abbiamo lavorato su parecchie rifiniture e su due o tre modifiche sostanziali. Una, ad esempio, è il finale del film: ne ho girati due e alla fine ho scelto quello che di riserva, non l’originale. Secondo me è più dinamico e più adatto ad un momento di felicità soggetto a cambiamento. L’altro era troppo statico.

La sensazione è che Muccino abbia saputo mediare bene. Che sia riuscito ad eseguire il compito senza eccessive pretese autoriali. Intanto Will Smith parla di quanto sia stato bello stare accanto al figlio per tutte le riprese. (il bambino protagonista è figlio dell’attore nella vita). La platea è già conquistata, siamo solo all’inizio…

Con questo film sono stato un sacco di tempo con mio figlio. Gli ho fatto vedere quello che so fare meglio al mondo…è stato bellissimo!

Fantastico, il figlio lo è davvero, con quel capoccione disordinato e lo sguardo tenero. Tra l’altro è veramente bravo. Per Muccino, intanto, una domanda di una certa robustezza, anche se un po’ confusa, gliela fa una giornalista di Radio due: “Lei ha detto che ci voleva un europeo per far vedere meglio agli americani il cosiddetto ‘sogno americano’. Ma noi italiani abbiamo studiato greco e latino e crediamo più nel fato e nel destino che nel sogno americano. Tra l’altro, l’Italia è un paese che non premia troppo chi ci dà dentro. E allora, Muccino, dov’è l’occhio europeo in questo film?”. Il regista è sorpreso ma in un certo senso se lo aspettava. Non è spigliatissimo nel linguaggio ma neanche va in tilt. Tende a non scomporsi e alla fine ci riesce. Ne approfitta per parlarci ancora una volta degli americani. Ma la prima frase è una riposta abbastanza chiara.

Io ho raccontato una storia americana con i meccanismi del cinema americano. Stando in America ho visto che non c’è niente di più materialistico del loro pensiero: sono persone che hanno abbandonato le loro famiglie e il loro paese per cercare una condizione migliore di quella da cui venivano. Una volta arrivati in America hanno potuto contare esclusivamente su se stessi. Da qui nasce una società molto individualista, molto materialista, consumistica e capitalistica. Per il cittadino americano il fatto di farcela con le proprie forze è un elemento esistenziale ed un valore morale. Io ho dovuto raccontare, perciò, una realtà che è lontana da quella europea: noi abbiamo dei valori che si scostano da questo materialismo perché non abbiamo radici che affondano nella valigia con lo spago del loro viaggio: veniamo da molto più lontano. In America, l’insulto peggiore che già un bambino di tre anni possa sentirsi fare, è Loser (cioè perdente ndr). Quella americana è una società che si divide in losers e winners. Tutta l’esistenza dell’individuo si divide tra chi ce la fa e chi non ce la fa. Io ho raccontato con la mia voce, e con una sensibilità che ritengo tangibile, una realtà che è anche cinica e drastica. Sono convinto che la mia mano nel film sia evidente perché so quanto ho lavorato, quante sfumature ho creato e quanto ho osservato questo paese con un occhio vergine. Ho raccontato con occhio europeo una realtà che doveva essere riconoscibile per gli americani. L’errore più grande che potessi fare era quello di fare un film che non fosse riconoscibile per loro. Se avessero detto “Il regista non è americano”, avrebbe significato che avevo toppato alla grande. Se poi dicono “questo film ha una sensibilità particolare”, in quel caso lo prendo come un grande complimento…

E’ il turno di Roberta Ronconi, ormai da un po’ la critica cinematografica del quotidiano Liberazione. Due domande per Will Smith. La prima: “Signor Smith, ha scelto Muccino come occhio europeo che guardasse l’America o l’ha fatto perché questi è portatore di una certa cinematografia?” La risposta del buon Will non è affatto maleducata ma si impantana un po’ nel “cinema” e crea un certo imbarazzo in sala…

chris gardnerL’idea del sogno americano è ormai un po’ offuscata. Per me si tratta di “sogno umano”, come dicevo prima. Quando Gabriele mi ha mandato un dvd di Ladri di Biciclette, là dentro io c’ho visto il sogno americano: quando ho visto un padre che lotta per cercare di accudire i propri figli e mantenere la propria famiglia, nel senso di garantirgli un futuro, e lo fa puntando su tutte le sue energie, beh.. quella per me è il sogno americano. Gabriele mi ha dato anche Umberto D.. e anche lì c’entra il sogno americano. Ho trovato L’ultimo bacio un film molto potente, con un’idea umana forte e profonda. Tutti noi abbiamo in testa l’idea di chi siamo e di chi vorremmo essere, e la ragione per cui stamani siamo usciti di casa è perché speriamo che oggi sia meglio di ieri e che domani sia meglio di oggi. Questa speranza ci porta avanti ogni giorno.

La seconda domanda della “comunista” e simpatica Ronconi è la seguente: “Come si spiega, Signor Smith, che un film così poco consolatorio, abbia avuto tanto successo in America?”

Io non so esattamente perché il pubblico abbia risposto così bene al film. Però penso che nella storia di questa pellicola ci sia qualcosa di primordiale e di animalesco. Credo che ci sia un’idea universale: quella di proteggere i nostri figli. Quando mettiamo al mondo delle nuove vite vogliamo che crescano nel modo migliore, ci preoccupiamo in maniera diversa del mondo e del modo in cui viviamo. Abbiamo delle speranze, dei sogni. Nel film di Gabriele, nel quale per altro credo di aver fornito la mia migliore performance della mia carriera, si viene toccati in profondità. Il film affonda nelle nostre paure, che sono speculari ai sogni, americani o umani che siano. Il film arriva alle nostre paure più profonde e poi risale su, fino a chiudersi con un finale di speranza.

E’ il turno di Marco Spagnoli, ed ovviamente la domanda è tecnica e anti-gossipara. Si parla di Frank Capra come uno dei registi più importanti del “sogno americano”. “E”, aggiunge il nasale Spagnoli, “Capra era italiano. Rientra nei tuoi modelli, c’è una commistione?” Chissà se Muccino ci ha pensato o no? Forse si, perché lo descrivono come un valoroso cinefilo! O forse no, ma la sua riposta è abbastanza decisa..

Beh, direi di si. In lui c’è una vita ideale che si sovrappone ad una realistica e che dà la spinta per credere in un mondo e in un domani migliori. Il protagonista del mio film insegue senza strumenti una vita migliore. Non sa cosa sia un Broker ma l’idea gli piace, e sente che potrebbe essere quella giusta, anche per dare a suo figlio e a e stesso una solidità nuova e maggiore. L’idea che si forma davanti ai nostri occhi è più importante del realismo del quotidiano. Il realismo è in questo senso qualcosa di simile alla mediocrità, mentre il sogno è legato all’ambizione e a qualcosa di lontano ma che può portarci ancora più lontano di quanto possiamo immaginare.

Dal fondo della sala: “In questo film il sogno americano c’è di sicuro ma anche un film molto angoscioso…Muccino ancora una volta finisce nell’antropologia…”

Io avevo paura di portare troppo sentimentalismo e quel velo di eccessiva dolcezza in questa storia. Ho fatto di tutto per legarmi ad un certo tipo di realismo che appartiene al cinema europeo. Ad esempio tutti gli homeless del film sono tali anche nella vita. I posti in cui il protagonista dorme o passa sono gli stessi in cui è stato il vero Chris Gardner. Il fatto stesso di averlo sempre con me durante le riprese, rafforzava la mia attenzione al fatto che milioni di americani ogni giorno in America non ce la fanno. L’america è un paese molto punitivo in questo senso, molto duro con chi non ce la fa…

La stessa voce dal fondo: “Ma non è un po’ improbabile che il protagonista non abbia nessun amico..” Ancora analisi di una società..

Il tessuto sociale in America è molto diverso da come è qui da noi…il bussare alla porta del vicino è poco usato. Ci sono un grande individualismo ed una grande solitudine. I legami mostrano tutta la loro labilità davanti agli errori degli esseri umani.

Ci si avvia verso la fine e non poteva mancare la classica domanda sui progetti per il futuro: “ Gabriele, quanto tempo sarai ancora negli States? e quando tornerai? Se tornerai…”. Muccino stavolta, risponde con un certo orgoglio e con una certa soddisfazione..

Quando due anni fa ho incontrato Will Smith, stavo iniziando a lavorare ad un film in Italia. La mia vita, da lì, si è capovolta. L’idea di fare un altro film in America mi piace perché è stata una esperienza davvero emozionante. Ero spaventato dalla potenza invasiva paventata dalla macchina hollywoodiana ma poi ho scoperto che è piena di lati positivi e non è affatto ingestibile: se sai essere diplomatico ed accettare i compromessi, riesci a fare il tuo film anche se nasce negli occhi e nelle mani di qualcun altro..

Una giornalista nascosta nel mucchio riprende il discorso del Neorealismo nel quale ci si era avventurati poco prima. “Abbiamo sentito parlare di Ladri di Biciclette, di Umberto D e del cinema di Capra. La didascalia che c’è nel finale del tuo film non sarebbe mai potuta esistere in qualcuno di questi film, perché c’è una bella differenza tra la lotta per sopravvivere e la voglia di diventare così tanto ricchi… ( Nella didascalia c’è scritto che il protagonista della vicenda, nella vita, da quel momento in poi, ha fatto un sacco di soldi. Ndr)”

La didascalia serve a dare un’ulteriore informazione. A dirci che in questo specifico caso la lotta ha prodotto anche soldi oltre che la realizzazione di un sogno. Quella frase che si può e si deve continuare a sognare sempre. Inoltre rafforza il merito e la fatica di un nero. Non dimentichiamo che negli Usa, a volte un nero ha difficoltà anche a prendere un taxi. Noi non volevamo dire che i soldi sono la felicità o che sognare vuol dire sognare di diventare milionari. Il film racconta ben altro…

Parte della platea applaude. Will Smith si infervora e vuole aggiungere qualcosa…

Io credo che ci sia un piccolo malinteso sulla prospettiva del sogno americano. Io ritengo di vivere un pezzo di questo sogno americano, nel senso che mi piace recitare e mi piace far ridere la gente… Ebbene, quando ti impegni, quando ce la fai e quando ottieni qualcosa i soldi arrivano di conseguenza: accompagnano il successo ma non sono l’obiettivo primario. Puntare sui soldi poi n
on dà nessuna garanzia…

L’ultima domanda è di Maria Pia Fusco: una donna intelligente. Fuma troppo però, e la sua voce ne risente. Il film è ambientato negli anni Ottanta. Nella società americana di oggi sarebbe possibile ambientare questo film? A questa domanda risponde il protagonista reale della vicenda, Chris Gardner, presente anche lui al tavolo…Lo fa con una frase all’americana, degna di Rocky o di Rambo:

 

Io ce la farei…

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