[*] – Roberto Faenza è uno dei pochi registi italiani dai quali non ti aspetti un film come Il caso dell’infedele Klara. Liberamente tratto dall’omonimo testo del ceco Michal Viewegh, Il caso dell’infedele Klara è un film superficiale con una sceneggiatura banale e un’ambientazione esclusivamente scenografica, da soap-opera. Faenza affronta il tema complesso della gelosia con l’accetta della banalità, del luogo comune, con un volo basso e incerto che ne sfiora le sfaccettature senza approfondirne nessuna.

Luca (Claudio Santamaria) è un musicista italiano che vive a Praga, fidanzato con la studentessa universitaria Klara (Laura Chiatti), della quale è follemente geloso, al punto da rivolgersi ad un’agenzia investigativa, per seguirla. Denis, l’investigatore che si occupa del caso, capisce che la gelosia di Luca è una malattia priva di vero fondamento e cerca perciò di risparmiargli particolari insignificanti della vita di lei che potrebbero alimentare la sua paranoica ossessione. Klara è infatti fedele ma nonostante questo Luca finisce per rovinare il rapporto con lei sottoponendola a continui interrogatori e discussioni. Sullo sfondo di queste vicende prende lentamente corpo il privato di Denis che vive un ménage coniugale aperto e apparentemente felice: sua moglie ha infatti altri amanti, dei quali condivide con lui l’esistenza. La vicenda si fa più intricata nel momento in cui Denis si invaghisce di Nina, una sua collega di lavoro, e seguendo Klara in un viaggio a Venezia sempre per conto di Luca, finisce per cedere anche lui alla confusione irrazionale della passione, che però lentamente porta verso un lieto fine stridente.

L’intreccio sarebbe stato interessante se invece di raccontare i personaggi con  superficialità da romanzetto rosa, Faenza si fosse realmente addentrato nella psicologia di ognuno di loro, delineando con maggiore profondità i tratti della sofferenza di Luca – che invece sembra un attore comico alle prese con gag ridicole – la complessità della vita privata di Denis – che all’inizio sembra un filosofo approdato alla libertà per trasformarsi poi in un confuso sentimentale – e le dinamiche interiori dell’intera vicenda, completamente scollegate anche dall’ambientazione. Praga, come Venezia, è infatti solo una cartolina piatta che fa da sfondo a vicende bidimensionali, incapaci di prendere vita dalla mano del regista. Laura Chiatti si aggira nuda per le scene senza lasciare segno, Claudio Santamaria si impegna nell’interpretazione di un personaggio in bilico fra dramma e barzelletta e forse l’unica che fa piacere ritrovare è Kierston Wareing –  lanciata da Ken Loach in In questo mondo libero – capace di dare al personaggio di Nina quell’autenticità che manca agli altri.

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