Dove ti giri ne senti parlare, c’è chi lo consiglia perché fa ridere, chi alza gli occhi pensando ai meravigliosi paesaggi del Cilento, nella speranza di tornare presto in vacanza, chi riflette sugli stereotipi tra settentrione e meridione che il film di Miniero metterebbe in questione, chi ancora cavalca l’onda politica sollevata dalle recenti dichiarazioni di Bossi (“Sono Porci Questi Romani”, poi si è scusato, come si sa è oramai abitudine tirare il sasso e poi spiegare che non lo si voleva tirare). Insomma Cattleya e Medusa sono riusciti a mettere insieme un pubblico trasversale e gli incassi dell’ultimo weekend lo dimostrano: in cima alla classifica con quasi 4 milioni di euro e una media per sala da film di Natale, raccogliendo successo nel Nord del Paese, tanto da far dire al produttore Riccardo Tozzi: “E’ un film d’unità nazionale”.

Benvenuti al Sud, che è poi il rifacimento italiano del francese di Giù al Nord, sembra indicare la crescita del comparto cinema, capace di raccogliere un pubblico medio e al tempo stesso, con alcuni autori, di permettersi delle opere più ambiziose sotto il profilo culturale. I dati del resto confermano questa tendenza, anche quest’anno i film nazionali raggiungeranno una quota di mercato superiore al 30%, un segnale in termini economici letto positivamente, che spinge l’intero settore a chiedere con forza al governo il rinnovo degli incentivi fiscali. Ma cos’è che funziona in Benvenuti al Sud? Prima di ogni altra cosa è un prodotto ben confezionato, tutto pensato in funzione di raccogliere quanti più soldi possibili, si pensi all’intelligente piazzamento delle pubblicità interne alla narrazione: le Poste italiane (dove si svolge gran parte della vicenda); il gorgonzola; la promozione turistica di Castellabate (si trova in Campania). Questi elementi non sono nemmeno particolarmente nascosti, tuttavia non sembrano dare fastidio allo spettatore, probabilmente per una ragione molto semplice: chi guarda questo film non si separa di molto dal continuum televisivo a cui è abituato.

L’indubbio talento comico di Bisio si presta con disinvoltura quale ibrido tra contenitori diversi, senza provocare particolari frizioni allo sguardo. Guardando l’attore in azione dimentichiamo, presi dal semplice plot, che è la stessa persona di note pubblicità sul piccolo schermo, come di programmi di successo. Lo dimentichiamo ma quell’insieme di senso che lui veicola agisce inconsapevolmente nel nostro universo di costellazioni simboliche, altrimenti detto: Bisio ha una forte attrattiva positiva per lo spettatore. Del resto come non cogliere la scansione di scene, pur negli esiti paradossali (il blocco sulla Salerno-Reggio Calabria con l’accelerazione delle immagini), con i ritmi interni, location e set, quali materiali di possibili regie di spot promozionali, quando non direttamente presi a modello di riferimento (si pensi alle riprese nell’ufficio postale o anche nell’accademia del gorgonzola)? Insomma Benvenuti al Sud è ben consapevole di stabilire un patto comunicativo con un pubblico che ha come primo e maggioritario intrattenimento la televisione, abituato a quei tempi, a quella sintassi che strattona l’occhio dello spettatore.

Non ha tutti i torti Riccardo Tozzi ad alludere al valore politico del film, alla “unità nazionale” che susciterebbe. Forse sarebbe meglio dire che Luca Miniero con Massimo Gaudioso (sceneggiatore di diversi film di Garrone), spuntano le ali agli estremismi, disegnando un’Italia politica moderata, di buon senso, che non sopporta troppo stereotipi e schematismi, pronta a riconsiderare gli aspetti che accomunano, più di quelli che dividono. Mettono insieme quella parte di Paese che per lo più si aggira tra il Partito Democratico e Futuro Libertà, con qualche scheletrico rametto nel Pdl e magari anche nella Lega.  Geometrie provvisorie, tra gruppi sociali diversi, ma con obiettivi a medio termine condivisibili, tanto da rompere l’incantesimo di consenso che si coagula attorno all’attuale maggioranza di governo.  È altrettanto vero che se Claudio Bisio –  nei panni di Alberto Colombo, funzionario delle Poste che da Usmate Velate (cuore della Brianza) per punizione viene trasferito a Castellabate (Campania), dove si scontra con usanze, dialetti e modi di vivere diversi –  finisce per scoprire che al Sud non si vive poi tanto male, lo fa al prezzo della costruzione di un altro stereotipo, quello dell’ospitalità, degli alimenti genuini, della natura incontaminata, delle tradizioni locali. In altre parole l’elusione del conflitto globale in corso (economie, costumi, comportamenti), per l’elogio di un territorio che non esiste più, se non in parte residuale.

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