Tendere all’armonia passando per il conflitto. Chi apprezza l’esperienza come crescita non puo’ che trovare questo suo blob, volutamente (troppo forse) infastidente nella sua anti-estetica, perfetto.
Manifesto dell’incomunicabile. Ma allora perché tentare di comunicarlo a tutti i costi ed infliggere allo spettatore questa agonia? Ingenuità. Ultimo tentativo di rivoluzione? Esercizio comunque di stile in cui la speranza un po’ beffarda di smarrimento del pubblico ne è precisamente il suo valore?

Un vecchio esperto pessimista nostalgico che non smette, in ogni caso, di inviare il suo grido di disperazione, di provocazione, la cui essenza di vita ha significato ormai solo ‘spogliata’- nuda di senso, o nell’amore estremo e incondizionato di un cane (che ti ama più di quanto non ami se stesso), o nel vagito primordiale senza logos.

Una denuncia al cinema pret a porter, all’arte in genere fatta da chiunque con qualunque mezzo, un blob cacofonico di immagini, nostalgie per i Maestri che vengono invocati e poi frullati in questo gramelot catodico della distanza più totale.

‘Je suis la merde’ diceva Artaud quando accusava la morte del teatro, e Godard lo riprende appieno in questa tipica fascinazione tutta francese per il prodotto intestino.

Una bella merda d’artista, anche se quello che resta di più è l’inafferrabile, l’andare oltre-attraverso tutto questo rumore per provare ad ‘incontrarsi’ ancora.

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