Durante la cerimonia di premiazione dello spossante Hard to be a God al Festival di Roma, è anche stato letto un omaggio a German da parte di Umberto Eco.

Secondo il noto semiologo di Alessandria, la grandezza allegorica ed evocativa di un film del genere non può essere apprezzata in tutte le  sue  innumerevoli sfaccettature senza prima avere chiare tutte le ultime degenerazioni cesaristiche del potere di Mosca.

In piccolo e con le dovute proporzioni il discorso vale perfettamente anche per il sorprendente Nepal Forever, altra pellicola russa premiata come miglior film nella sezione Maxxi di Larry Clark.

Assistendo a questa docu-commedy con una specie di mappa di tutte le correnti leniniste più ortodosse all’interno della Duma – forse – tutta la propulsione surreale, anacronistica e poeticamente ottusa che propone il lavoro della Polunina farebbe ancora più effetto.

 

Anche avendo solo una vaga e sgrammaticata rimembranza della Rivoluzione d’ottobre però, la raffigurazione di tutta l’inadeguatezza e la coerenza sempre fuori posto dei militanti Viktor e Sergei non può non colpire grazie ad una specie di comicità involontaria al tempo stesso farsesca e glaciale.

Di sicuro lo spaesamento candidamente represso dei due protagonisti sarebbe potuto essere una miniera d’oro per qualsiasi documentarista.

La Polunina dimostra però di avere il fiuto non solo per selezionare i momenti giusti, ma anche per adeguare i tempi e le situazioni del suo materiale ad una specie di versione nonsense e marxista del grande Spie come noi di John Landis.

Nel film, due membri del consiglio comunale di San Pietroburgo si ritrovano, come osservatori esterni del loro minuscolo partito, a visionare il dibattito tra le innumerevoli correnti comuniste all’interno del Governo nepalese.

Le immagini delle pietose simulazioni delle riunioni da politburo in realtà corrose dalla globalizzazione, esaltano le contraddizioni tra la staticità esangue e sterile di certe discussioni a tavolino contro la brama brulicante e vorticosa di Mercato delle masse tutte intorno.

Se in patria Viktor e Sergei animano tafferugli verbali tra pochi eletti per capire se era meglio Lenin o Stalin e chi tra loro a voluto per primo la metropolitana, a Kathmandu provvedono a redigere il perfetto decalogo del comunista in trasferta. Anche se alla fine però il tutto sembra avvicinarsi più ai consigli di Men’s Health per migliorare gli addominali che non ai principi di un movimento per cambiare le cose.

Esilarante la tappa all’ambasciata della Corea del Nord il giorno della morte di Kim Jong-il per commemorare la morte del caro leader.

Visto con una specie di patina nostalgica il film ha una componente sarcastica vincente come quella dei gloriosi Comunisti per Tabacci.

In una chiave più obiettiva non fornisce un quadro assolutamente confortante sulle realtà che possono accedere alle cariche rappresentative in Russia o sui movimenti che gestiscono le prove di democrazia in Nepal.

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