Il paese in cui prende vita il film La Santa potrebbe essere uno qualsiasi di quelli scavati sotto i sassi e circondati dagli olivi nel sud Italia di cui parlava sempre in modo estasiante lo storico Fernand Braudel. L’umanità che ci si annida sopra però è molto più westernata e sedotta dal fascino discreto del porto d’armi di quella dei tempi di Filippo II.

Così come nell’interessante e recente L’Arbitro di Paolo Zucca, il nuovo film di Cosimo Alemà riesce a proporre una via inedita e spettacolare alla provincia mediterranea e a tutta la religiosità scura e controversa che spesso ci si interra sotto. Qui non c’entrano i miti del calcio e la corruzione come nella pellicola con Accorsi, ma ci si può scontrare con gli effetti sanguinari di una specie di superstizione cattolica che sembra ripescata tanto dal fondo di una novella di Verga quanto dal bagagliaio di Un tranquillo weekend di paura.

Come è stato detto più volte nel corso dell’ultimo Festival di Roma, dove il film ha partecipato fuori concorso, il merito principale di Alemà è quello di aver prosciugato gli ambienti del classico heist movie all’italiana da tutti i suoi soliti protagonisti, tipo il Boss del paese, il farmacista e il carabiniere con l’amante scegliendo invece di lasciare i suoi quattro protagonisti soli con i propri istinti, estremizzati dall’odore della paura.

Una banda male assortita e probabilmente messa insieme all’ultimo, decide di rubare la statua di una Santa da una chiesa di uno sperduto paese di provincia. La cosa sembra fin troppo facile e infatti il furto scatena una sorta di rappresaglia collettiva da parte dei paesani che non sembrano agire come individualità, ma come una specie di pestilenza informe e vendicativa. Curioso come nel corso della storia manchi del tutto la presenza della polizia. La cosa però non fa zoppicare affatto la resa degli inseguimenti, ma anzi rende incredibilmente coerente il tutto con l’idea di violenza privata e carnale che forse voleva rendere il regista.

Esausti dalla corsa fino all’ultimo respiro i quattro ladri vivono un confronto estremo con i loro istinti, e a volte si sconfina addirittura in scene di sesso estemporanee e fulminanti. Da lodare la scelta di tutti gli interpreti. Il dialogo di uno dei rapinatori con le studentesse in chiesa fa ricordare addirittura un certo tipo di rassegnazione sfinita di Harvey Keitel ne Il Cattivo Tenente. Da tenere d’occhio.

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