“I nostri padri hanno girato insieme. Dobbiamo fare un film insieme!”

Alla base di A glimpse inside the mind of Charle Swan III, in concorso alla settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, c’è questo caloroso invito rivolto a Roman Coppola, figlio del grande Francis Ford, da parte di Charlie Sheen, secondogenito di Martin, la vecchia star di Hollywood: l’esperienza professionale condivisa dai loro padri, cui fa riferimento, è quella sul set di Apocalypse Now, opera che peraltro segnerà profondamente i percorsi artistici ed umani del regista e dell’attore. Dopo aver ascoltato queste parole Roman Coppola capì immediatamente chi sarebbe stato il protagonista della pellicola che si apprestava a girare, una commedia sentimentale con al centro un personaggio bizzarro, megalomane e sfacciato; intuì che il suo amico Charlie aveva il fisique du role e il passo giusto per vestire i panni di un grafico di successo, pieno di dollari e di donne, improvvisamente disperato perché la giovane compagna lo abbandona senza un motivo apparente. Con un occhio al cinema americano di genere, alla migliore tradizione del musical, in particolare al melodramma, e l’altro alla parodia demenziale del prodotto di largo consumo, Coppola, anche sceneggiatore, realizza una commedia leggera, votata al più completo disimpegno, dagli accenti surreali e le venature romantiche, ricca di passione (e un po’ di furbizia) cinefila.

Devastato dalla perdita di Ivana, Charles Swan III, famoso designer di copertine di album musicali, si interroga ossessivamente sulle ragioni della fine del rapporto con la ragazza, cerca conforto negli amici Kirby e Saul e nella sorella Izzy, ma non riuscendo a lenire in alcun modo le sue sofferenze si rifugia nell’immaginazione e nel ricordo fino a maturare la decisione di spiare la sua ex come una specie di agente segreto. Nel raccontare le pene d’amore del suo dongiovanni, narciso e infantile, il regista saccheggia la storia del cinema citando John Wayne (un delizioso Bill Murray che ammicca al mitico pistolero del western classico, correndo in aiuto del protagonista circondato da un manipolo di donne pellerossa, durante un delirio misogino del povero Charles); strizza l’occhio alla saga degli 007 e a Beatiful Mind quando mette in atto il proposito di sorprendere Ivana con il nuovo amante; attinge a piene mani da Paura e delirio a Las Vegas per quanto riguarda i colori, l’arredamento e la scenografia. Il soggetto stesso poi, facendo leva su un personaggio così ingombrante e dall’ego gigantesco, che per giunta di mestiere fa l’artista, sembra ispirarsi non poco al Big Fish di Tim Burton. Tutte queste allusioni, disseminate lungo l’intero racconto, sono però talmente frequenti ed esplicite da non risultare in alcun modo irritanti: semmai, possono risaltare per la loro innocente ingenuità, per lo spirito giocoso – se vogliamo un po’ immaturo – con cui si fanno scovare e ci inducono a perdonare l’estrema esilità della sceneggiatura.

Tutto scivola via con estrema disinvoltura in  A glimpse inside the mind of Charle Swan III, senza alcuna pretesa e senza inganni: a confermarlo, didascalicamente, è il finale metacinematografico che svela gli artifici della finzione e riprende il film nel suo farsi: l’intera troupe saluta gli spettatori, neanche si trattasse della recita amatoriale di una scolaresca per fare contenti i genitori: Roman e Charlie, per tornare all’inizio, sembrano voler rassicurare, con questa chiusa all’apparenza autocelebrativa, i loro padri illustri circa la bontà delle intenzioni, ovvero la natura di fondo ludica dell’intero progetto di Charlie Swan III. Come poter essere più sinceri (e innocui) di così? Si sorride e, subito dopo, dimentichiamo tutto.

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