logo cannesCannes si prepara a celebrare se stessa con la Sessantesima edizione del Festival del Cinema. Superati i momenti di appannamento – anche grazie alla deposizione delle armi dei suoi maggiori concorrenti (si legga Venezia) – lascia a casa i vecchi padri della cinematografia europea, non si arrischia a puntare più di tanto su debuttanti o registi emergenti, e chiama a raccolta in un memorabile cartellone i migliori autori della generazione di mezzo. Insomma, cinquanta-sessantenni più che trenta-quarantenni, molti dei quali vincitori o comunque premiati nelle precedenti edizioni del Festival o in altre importanti kermesse (si legga Venezia, ma anche Berlino). Torna il cinema asiatico, senza tuttavia la centralità che gli viene spesso attribuita da 15 anni a questa parte nei Festival europei, e rappresenta più o meno adeguatamente le maggiori cinematografie mondiali. Tra le altre cose, si concede quest’anno una Lezione di Cinema tenuta da Scorsese. 

Il concorso vede ai blocchi di partenza una schiera di grandi nomi che, se rispetteranno le attese, si sfideranno finalmente in una vera competizione. Si va dall’onore dell’apertura attribuito a Wong Kar-Wai che a Cannes aveva vinto il premio per la regia con Happy together (1997), il premio speciale della giuria per In the mood for love (2000), e tenuto una Lezione di Cinema. C’è il regista turco-tedesco Faith Akin, già vincitore a Berlino con La sposa turca. C’è una sorta di dream-team americano capitanato dagli scapestrati fratelli Joel & Ethan Coen, forti di una Palma d’oro a Barton Fink (1991) e di due premi alla regia (Fargo, L’uomo che non c’era); con David Fincher (Seven, Fight Club) e James Gray (Little Odessa) schierati sulle fasce e con una coppia d’attacco fenomenale formata da Gus Van Sant, Palma d’Oro per Elephant (2003), e Quentin Tarantino, Palma d’Oro per Pulp Fiction (1994). C’è la Corea di Kim Ki-duk (Primavera, estate, autunno…, Ferro 3). C’è il pittore abitualmente prestato al cinema Julian Schnabel (Prima che sia notte, Basquiat). Anche i russi sono messi beni con il Leone d’Oro (2003) Andrey Zvyagintsev e soprattutto con il grandissimo Alexander Sokurov (Moloch, Madre e Figlio, Arca Russa, Il Sole). E poi ovviamente c’è il ritorno di Emir Kusturica, particolarmente amato dai festival europei ma anche dal pubblico, che a Cannes si è imposto due volte (Papà è in viaggio d’affari, Underground).

Com’è stato ampiamente detto manca l’Italia e questo dovrebbe dirla lunga su quanto sia considerato il nostro cinema all’estero, a parte pochi grandi autori, e quanto soprattutto siano misconosciute le nostre produzioni migliori, forse non adeguatamente sostenute da produzione e distribuzione. Ma, prima che ce la vengano a menare sui mangiarane che ci odiano, è bene dire che è assente anche la Francia che conta. In concorso la nazione che ospita c’è, ma molto in forma di co-produzione e poco con autori autoctoni. Tra gli altri l’ombelicale e compiaciuta Breillat che difficilmente potrà puntare all’ambita Palma. Forse la proposta francese più interessante è la trasposizione cinematografica ad opera dell’autrice stessa e Vincent Paronnaud del capolavoro a fumetti Persepolis dell’iraniana d’origine Marjane Satrapi. 

Insomma, quando il concorso è pieno di cinema lo spazio che resta è poco per chiunque. Tant’è che pure il super-premiato a Cannes (troppa grazia) Micheal Moore finisce nella sezione Fuori Concorso, con Steven Soderbergh che presenta l’ennesimo audace colpo dei soliti noti (Ocean’s thirteen), Micheal Winterbottom con A Mighty Heart e il pur adorato canadese Denys Arcand (Il declino dell’impero americano, Le invasioni Barbariche).

Una buona notizia: hanno ripescato Abel Ferrara per la sezione Mezzanotte e, dunque, ce lo siamo risparmiati a Venezia a settembre. 

E dove sono gli italiani? Uno, Ermanno Olmi (Centochiodi), è nella sezione speciale “Omaggio dei 60 anni” con altri vincitori di palme d’oro come buoni sodali (Claiude Lelouch, Volker Schlondorff) e accanto ad una vera icona della cultura francese (ma forse europea) meno riconciliata, Jane Birkin. L’altro, Daniele Lucchetti (Mio fratello è figlio unico), finisce nella sezione “Un certain regard” come sempre di tutto rispetto e aperta quest’anno dall’ultima fatica di Hou-Hsiao Hsien (quello di Millennium Mambo). 

Nella “Quinzain des realizateurs” particolare interesse suscita Control, film di Anton Corbjin, noto ai più per essere uno dei più geniali autori di video-clip musicali (U2, Depeche mode, Nirvana, solo per citarne alcuni). La consueta varietà geografica caratterizza la “Semaine de la critique” che offrirà probabilmente spunti interessanti anche quest’anno. 

Insomma, un cartellone che punta sulle certezze e che non si apre certo a rischio e innovazione. Ma come negare ad una anziana signora la gioia di vedere alcuni tra i suoi figli prediletti raccolti intorno a sé per il suo sessantesimo compleanno?

(questo pezzo è preso dal novamag.it rivista patner di schermaglie.it)

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