Il film segna l’esordio nel lungometraggio di Valerio Mieli, ex studente del Centro Sperimentale di Cinematografia. E va subito specificato che l’opera prima di questo autore classe ’78 rientra in un progetto produttivo ideato dal Centro Sperimentale di Cinematografia in collaborazione con Rai Cinema. La società di produzione del film è la Csc Production, dove Csc sta per Centro Sperimentale di Cinematografia, ovvero la scuola italiana di cinema che da oltre 70 anni forma nuovi talenti. La CSC Production è diretta da Elisabetta Bruscolini e produce i lavori di allievi ed ex allievi del Centro Sperimentale fungendo anche da incubatore per l’inserimento professionale degli studenti diplomati. Un sostegno particolare viene dato agli ex allievi per la realizzazione della loro opera prima. La CSC Production si occupa anche della diffusione dei lavori nei festival nazionali ed internazionali, nelle sale cinematografiche, sulle reti televisive e sul web.

Non è la prima volta che il Centro Sperimentale si muove in questa direzione, permettendo la nascita di valide opere prime. Altre volte, infatti, in tempi molto recenti, era stato selezionato un saggio di diploma partendo da vari progetti presentati dagli allievi della scuola, e alla trasformazione della migliore idea su carta in qualcosa di tangibile e finito avevano collaborato altri allievi: sceneggiatori, montatori ecc.

Dieci inverni è il terzo film nato come opera d’esordio tra le aule del centro sperimentale, da poco diventato vera e propria casa di produzione sotto la sigla di Csc production. E lo consideriamo il lavoro migliore, il più maturo, il più autoriale. Gli altri due film erano Ma che ci faccio qui di Francesco Amato e La casa sulle nuvole di Claudio Giovannesi. Entrambi erano stati accolti con grande favore, non dal pubblico perchè il pubblico era stato poco informato della presenza in sala di questi validi esordi, ma dagli addetti ai lavori: critici e cinefili frequentatori dei tanti Festival in cui queste pellicole erano passate. Non solo in Italia, ma anche in giro per il mondo, ottenendo sempre riscontri positivi. E lo stesso, del resto, ha già fatto Dieci inverni, passato con successo a Venezia, sezione “Controcampo italiano”, non più di tre mesi fa.

L’opera di Mieli ha uno spunto di partenza molto originale (la sceneggiatura è stata finalista al premio Solinas 2007) anche se ricorda quello di Harry ti presento Sally, di Manhattan e soprattutto quello di Un amore, il bel film di Gianluca Maria Tavarelli del 1999. Mieli, tuttavia, assolutamente credibile, giura di aver conosciuto e visto quest’ultimo film solo in seguito alla scrittura del soggetto e della sceneggiatura, e di averlo poi guardato solo per capire come Tavarelli aveva affrontato alcuni passaggi di una sceneggiatura particolare e per certi versi rischiosa. Tra l’altro, stando sempre alle parole del regista, in Dieci inverni c’è molto di autobiografico, avendo Mieli una storia d’amore con una ragazza conosciuta dieci anni fa, che si chiama Isabella Aguilar e che è tra gli sceneggiatori del film.

Per Dieci inverni di seguito, tra il 1999 e il 2008, in questa commedia romantica di sintassi piuttosto internazionale, due ragazzi italiani si incontrano, si sfiorano e crescono, fino a che il loro rapporto, da subito profumato di un amore potenziale, si aprirà a nuove e più intense prospettive. Quel che avviene al di fuori di questi dieci momenti narrativi, in alcuni casi attimi fuggenti, non ci è dato di sapere. Qualunque cambiamento sia avvenuto nella vita dei due giovani, nel momento in cui si incontrano di volta in volta, non viene mai spiegato, ma solo mostrato, per un film che fa della saggia e mai eccessiva sottrazione una delle sue armi vincenti. Il centro del film è sempre l’energia che si sviluppa dalla vicinanza delle due figure, particolari e comuni al tempo stesso, e dalla relazione che si crea tra loro due e le loro lente e rispettive maturazioni. Lo scenario di queste dieci stagioni che contengono un amore congelato (trattenuto e avvolto nelle sciarpe e nei cappotti dei protagonisti) è una miscela di angoli veneziani poco turistici (mercatini, angoli nascosti e vaporetti) e di grandi spazi russi, Mosca, soprattutto. Luoghi di valore estetico e simbolico (per meglio descrivere la condizione dei personaggi), accompagnati dalle note di Franscesco De Luca e Alessandro Forti, più quelle di Vinicio Capossela, che interpreta un piccolo cameo nel film suonando il piano e cantando una sua recente canzone in presa diretta: Parla piano. Gli spazi del film sono dipinti sempre con buona cura dal regista, che in più di un caso incastona i protagonisti e la storia dentro quadri pittorici di forte suggestivo impatto. Il freddo è isotopia del film, estensione di un sentimento interiore che accompagna non solo l’esistenza dei personaggi, non esattamente paradigmi generazionali, ma individui ben calati nel contesto culturale contemporaneo, quanto la tendenza di un sistema che tende a bruciare tutto in fretta, ben compresi i rapporti tra individui. Il film, che comunque non vuole avere nessuna pretesa sociologica, racconta una variazione curiosa sul tema della storia d’amore, giocando con atmosfere sospese e costruendo una favola moderna nutrita dal realismo del contesto e dalle sfumature azzeccate dei caratteri. In proposito bisogna evidenziare la particolare bravura di entrambi gli attori principali, davvero credibili nelle espressioni e nei toni recitativi adoperati. Si tratta di Michele Riondino (Il passato è una terra straniera, Fortapasc) e Isabella Ragonese (Tutta la vita davanti, Viola di mare). Le due piccole stelline nostrane hanno l’età giusta per comprendere bene il carattere dei loro personaggi ed hanno a disposizione un canovaccio di dialoghi essenziali e poco retorici.

Il film scorre con una certa fluidità, schivando spesso il pericolo della prevedibilità con la sua forma originale e solida. Un esordio positivo, un modo antigiovanilistico di raccontare i giovani, un elogio della lentezza, un film tenero ma non fragile e mai patetico.

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