Il critofilm, ideato a partire dalla fine degli anni Quaranta da Carlo Ludovico Ragghianti, a differenza di quel che si dice, non è un documentario d’arte. E’ un dispositivo storico-critico-metodologico, che aggiunge agli strumenti della critica d’arte e al suo linguaggio tradizionale logico-verbale, un mezzo visivo e pratico che utilizza le caratteristiche espressive, estetiche e tecniche del cinema.

Il linguaggio cinematografico è adottato per spiegare una teoria storico-critica che precede la realizzazione del film. Con coraggio e metodo, Ragghianti divulga i suoi pensieri sull’arte, spesso in disaccordo con le teorie tradizionali e istituzionali, e si rende conto che per raggiungere il numero più elevato di utenti, dai più colti ai più inesperti, è necessario un linguaggio meno aulico, meno elitario di quel che adopera di solito nei suoi testi.  Già dal primo critofilm, La Deposizione di Raffaello del 1948, a quello su Pompei Urbanistica del 1958, si notano importanti e decisivi miglioramenti metodologici. L’opera, dopo i primi acerbi esperimenti, è storicamente e filmicamente contestualizzata, le informazioni sono calibrate e la cinepresa scorre leggera ma decisa tra una miriade di soggetti e si ferma, in armonia con il testo parlato, solo su quel che più interessa il critico. Risulta decisamente godibile e interessante, e non nego la mia immensa sorpresa da contemporaneista, di fronte al il critofilm Urne etrusche a Volterra del 1957, un capolavoro di cinema-critica, una fonte di sapere incommensurabile, che introduce il pubblico agli studi sull’arte moderna, a Donatello  e Michelangelo.

Qualche breve accenno biografico. Carlo Ludovico Ragghianti nasce a Lucca nel 1910. Pensatore, studioso, critico militante, storico dell’arte, didatta, partigiano. A causa della posizione politica antifascista della sua famiglia, nella Lucca chiusa e borghese, dove i sovversivi erano pochi e quindi rintracciabili, subisce nel 1927 un’aggressione squadrista che lo porta a trasferirsi a Firenze per proseguire gli studi. Qui allaccia una solida amicizia con Eugenio Montale e con Matteo Marangoni, suo professore e maestro di vita nei successivi anni universitari a Pisa, grazie al quale imparò a Saper Vedere (titolo  del libro chiave del pensiero di Marangoni). Grazie alle conferenze organizzate da quest’ultimo, ha la possibilità di conoscere le menti più fervide di quel periodo come Lionello Venturi, a cui Marangoni si rivolgeva spesso per avere consigli di metodo, Roberto Longhi, Carlo Carrà. La sua formazione si arricchisce nel tempo, grazie agli studi su Benedetto Croce, Henri Bergson, Konrad Fiedler e Julius Van Schlosser. Negli anni Sessanta, grazie alle sue lotte all’interno delle istituzioni, Ragghianti costituisce la prima cattedra universitaria di Storia del Cinema presso l’Ateneo di Pisa affidata a Chiarini. A due giorni dalla morte, avvenuta a Firenze nel 1987, Bruno Zevi ricorda alla Camera dei Deputati l’incommensurabile perdita del grande critico: “Ragghianti, non è stato solo un colossale produttore ed animatore di cultura nel campo della storia e della critica d’arte; è stato anche uno dei leader, insieme a Aldo Capitini e Guido Calogero, della cospirazione liberalsocialista e poi è stato uno dei fondatori ed uno dei principali dirigenti del glorioso partito d’azione. Tra questi due poli, storia dell’arte e lotta per la libertà Ragghianti, pur religiosamente crociano, non ha mai fatto distinzioni”. Tra le sue pubblicazioni, ricordiamo il libro Arti della Visione del 1952, che comprende il saggio Cinematografo rigoroso tramite il quale Ragghianti difende il cinema dalle comuni accuse di mero intrattenimento, per inserirlo a pieno merito tra le materie di studio storico-artistiche: “Comunque è noto (…) che per la maggior parte di coloro che scrivono di arte cinematografica, non soltanto non è chiaro, ma è discorde ciò che possa e debba intendersi per arte cinematografica. (…) Un punto di partenza che sembrerà ovvio, quantunque non pare che generalmente lo sia, è il valore sostanzialmente visivo proprio dell’espressione cinematografica. Valore visivo non dissimile, anzi della stessa natura di quello in cui si realizza un’opera di scultura o di pittura. In forma aforistica, si deve affermare che il cinematografo è “arte figurativa”, senz’altro. Né più, né meno. Infatti, quale differenza si può indicare fra un quadro, ad esempio, e un film? (…) Differenza nella tecnica; cioè nei mezzi materiali adoperati dall’artista per presentare, rendere esteriore o visibile un processo di sentimento o di fantasia” . Ragghianti, con la sue ricerche e le sue lotte all’interno delle istituzioni, ha aperto le porte della storia dell’arte a tutte quelle attività creative, che per molti intellettuali suoi contemporanei, e purtroppo per molti studiosi conservatori ancora oggi, non meritavano il riguardo della critica e delle università. Parliamo di tutti quei prodotti che esprimono il pensiero del loro creatore, dalle arti applicate al cinema.

Per adattare il pensiero e il metodo di Ragghianti agli attuali studi di critica d’arte, possiamo estendere il raggio a tutte le tecniche e alle variabili dell’arte a noi contemporanea come la performance, l’happening, l’environment, la public art, la danza contemporanea, la bioart, la transgenic art, il video d’arte, comprendendo con questa locuzione tutte le sue applicazioni comprese le videoinstallazioni. Dobbiamo includere inoltre gli studi sulle applicazioni dell’arte elettronica come la CG (Computer Graphic), la AGC (Advanced Graphic Imaging), la realtà virtuale, l’arte robotica, la net art, la musica elettronica, la mail art e molte, molte altre interazioni artistiche tra l’uomo e il mondo contemporaneo.

Per concludere, mi sembra necessaria un’informazione. Alla Fondazione Centro Studi sull’arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, che nasce negli anni Ottanta a Lucca con lo scopo primario di offrire “uno strumento di studio dell’arte, nella storia e nel presente”, è possibile vedere tutti i critofilm realizzati tra il 1948 e il 1964.

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