Da un lato Waldheims Walzer è un documento storico ma dall’altro credo che sia anche un documento autobiografico.

In effetti, all’epoca ero personalmente implicata nell’attivismo contro la rielezione di Waldheim. Da un lato mi battevo prendendo attivamente parte alle diverse manifestazioni ed azioni che si organizzavano e dall’altro cercavo, stando in mezzo alla gente, di filmare quanto stava succedendo. Per me era molto importante fare delle riprese nel centro della folla, lì dove stavano succedendo le cose, dove c’era dibattito, piuttosto che filmare confortabilmente la scena dall’alto o da lontano come faceva, servendosi di teleobiettivi, la televisione austriaca. Avevo una delle prime videocamere -ancora in bianco e nero – e un registratore, appeso a tracolla. Queste riprese, fatte in un vero corpo a corpo con la gente , sono state le prime che ho fatto da sola.

Come ha vissuto la sua esperienza di militante in quel periodo?

Sone sempre stata un’attivista ma in quest’occasione particolare il mio coinvolgimento è stato totale. Questo grande coinvolgimento non riguardava solo me ma ha investito l’intera società civile in Austria. E stato un periodo molto intenso e fecondo durante il quale ho incontrato e conosciuto molte persone che sono ancora oggi dei cari amici e con cui ho dei legami di stima e di rispetto. E stata la prima volta che gli Austriaci si sono ribellati pubblicamente e con grande veemenza contro un certo tipo di passato.

 

Lei filma a più riprese la folla raccolta di fronte alla Cattedrale di Santo Stefano raccogliendo le testimonianze preziose di molte persone che avevano vissuto la Seconda Guerra Mondiale. Una donna si leva tra la folla dicendo: “Sono un’ anziana, non sono istruita, ma ero lì, ho visto tutto! Ho visto le persecuzioni degli ebrei!” La sua presenza fisica e le sue parole sono incredibilmente forti. Di chi si tratta?

Questa donna si chiamava Rosa Jochmann, era stata nella resistenza austriaca e per questo era stata internata nel campo di concentramento di Ravensbrück. Rosa Jochmann era comunista e resistente e non era l’unica in Austria in quel periodo ad avere vissuto questo tipo di prove. Il caso Waldheim le ha permesso di parlare in pubblico e di raggiungere una certa notorietà, da quel momento in poi era regolarmente invitata a prendere parte a delle discussioni e ad andare nelle scuole per raccontare le sue esperienze agli alunni.

 

In una delle sequenze davanti a Santo Stefano si vede un uomo che insulta violentemente i presenti e se la prende con gli ebrei esprimendo dei propositi dichiaratamente nazisti. Temo che oggi la situazione non sia molto diversa…

Hai perfettamente ragione, solo che adesso questi personaggi non si trovano più davanti alla Cattedrale di Santo Stefano ma su Internet. Oggi la gente non si esprime più per strada ma in rete, chi vuole dare libero corso al suo odio e alla sua violenza verbale lo fa sui social media. Proprio questo aspetto ha particolarmente interessato i giovani, nel 1986 infatti il dibattito politico si svolgeva principalmente nei luoghi pubblici.

 Waldheims Walzer è il primo documentario da Lei creato usando dei materiali d’archivio. Come ha lavorato con questi materiali e come si é svolto il processo di selezione?

Per prima cosa, ho visionato per mesi e mesi i materiali d’archivio della televisione austriaca (ORF) perché m’interessava vedere il più possibile e non solo quanto si riferiva direttamente a Walheim, ma tutto quanto era successo nel 1986.

In seguito ho cercato tutti gli scandali che dal 1945 in poi hanno avuto a che fare con la negazione della partecipazione attiva al passato nazista del paese come il caso Taras Borodajkewycz negli anni ’60 o il caso Kreisky-Peter-Wiesenthal-negli anni ’70. La cosa più interessante è che di tanto in tanto la questione passato nazista riemergeva, creando però degli scandali di piccola portata che venivano ben presto rimossi e dimenticati. Solo il caso Waldheim ha avuto una risonanza così importante a livello nazionale ed internazionale segnando una svolta radicale per il paese. A partire dal 1986 hanno avuto luogo innumerevoli progetti e discussioni e la visione dell’Austria sul proprio passato ha subito una rotazione di 180 gradi. A partire dagli anni ’90, ben pochi avrebbero osato definire l’Austria come “ la prima vittima” del nazismo.
Nel 1991 il cancelliere Vranitsky ha pronunciato un discorso storico al Parlamento parlando per la prima volta della responsabilità e della colpa dell’Austria durante la seconda guerra mondiale. Da quel momento in poi, questa è diventata la posizione ufficiale del paese.

 

Trovare una linea narrativa così fluida e comprensibile senza compromettere la complessità del soggetto, non deve essere stato facile. Come ha proceduto?

E proprio così! Il montaggio ha richiesto molto tempo, l’idea sul come organizzarlo si è sviluppata lentamente. In fase di preparazione avevo visionato un’enorme quantità di materiale. Alla fine ho ordinato circa 200 ore di archivi ed é con questo materiale che abbiamo iniziato a lavorare in sala di montaggio.
In un primo tempo avevo pensato di costruire la storia attraverso una serie di flesh back su vari scandali politici che hanno avuto luogo durante gli anni sessanta e settanta per mettere in evidenza una specie di filo rosso sul negazionismo in Austria dal 1945 in poi. Pensavo di andare avanti fino al 1988, anno in cui è stata costituita una Commissione di storici con lo scopo di fare luce sul passato di Waldheim.
Alla fine ho lasciato perdere tutto e ho deciso di seguire semplicemente la cronologia della campagna elettorale di Waldheim che è durata tre mesi. Quest’idea narrativa semplice mi ha permesso di effettuare una serie di associazioni e di riferimenti esterni senza perdere il filo del discosro.

 

A partire dal racconto della campagna elettorale di Waldheim in effetti si aprono delle “finestre narrative” che ci permettono di sondare ulteriori aspetti della vicenda…

 Queste “finestre” ci hanno permesso di inserire la storia delle Nazioni Unite e di andare a Pittsburg per mostrare la testimonianza in tribunale del figlio di Waldheim. Seguendo questo metodo la narrazione è chiara e, allo stesso tempo, si crea una specie di suspens.

La gente in sala si chiede spesso: “Ma allora com’è andata a finire? Waldheim è riuscito a vincere di nuovo le elezioni?” Anche il pubblico della Berlinale, che in realtà conosceva perfettamente il risultato della seconda elezione di Waldheim, ha guardato il film con grande apprensione: alla fine del film, quando si è capito che Waldheim è stato rieletto, si é sentito un forte sospiro di delusione in sala. La gente, nonostante tutto, sperava che non vincesse.

 Il linguaggio corporeo di Waldheim viene particolarmente sottolineato nel film….
Credo che il cinema sia l’unico medio in grado di mostrare la fisicità di un individuo, questo tipo di superfice. Il modo in cui Waldheim muoveva le sue mani si può solo mostrare in un film, la fotografia può catturare degli istanti, ma non dei gesti.

 

 La sequenza finale del film in cui si vedono i preparativi di Waldheim prima del suo discorso presidenziale alla televisione, mi sembra particolarmente eloquente: la teleturgia del trucco, il modo in cui Waldheim cura la messa in scena di se stesso aggiustandosi il colletto e la cravatta, cercando la posizione giusta sulla sedia, ci dicono molto su quest’uomo. Da dove proviene questo materiale?

Questa scena non proviene dagli archivi ufficali dell’ORF , la televisone statale austriaca. Trovarla è stato un vero colpo di fortuna! Questo estratto esiste perché il giornalista che lo aveva filmato lo ha tenuto per se e non lo ha consegnato agli archivi dell’ORF dove di solito questo tipo di scene non vengono conservate!

 Quale è stata per Lei la parte più difficile di questo intero processo creativo?

La cosa più difficile per me è stata quella di trovare un modo per connettermi con un materiale che non avevo filmato di persona, come faccio di solito. Il materiale che avevo filmato all’epoca mi era molto familiare ma per quanto riguarda il materiale televisivo, per esempio, le cose erano diverse: non sapevo chi lo avesse filmato, perché e cosa stava pensando. Spesso si trattava solo clip molto brevi.

Per me i materiali d’archivio erano in un certo senso “freddi”, privi di ogni ricordo personale legato al tempo delle riprese. Per riuscire a sviluppare un rapporto personale e dei sentimenti rispetto a questo materiale non c’era altro da fare che vederlo più volte, ecco perché fare un film dura così tanto! (ride)

 Waldheims Walzer non è ancora stato proiettato in Austria, quali pensa possano essere le reazioni del pubblico locale?

Waldheims Walzer verrà mostrato per la prima volta alla Diagonale (film festival) e poi uscirà nei cinema austriaci in autunno.
Ovviamente molti sono contenti di vedere un film del genere, ma devo ammettere di avere anche già ricevuto alcune e-mail di stampo nazista che citano espressamente anche la letteratura nazista. Quello però che mi sorprende di più è che ancora al giorno d’oggi un uomo disonesto come Kurt Waldheim, venga difeso da molte persone. Non l’avrei mai pensato, è molto sorprendente!

 

 

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