Dopo un paio di film deludenti come Tre Piani presentato a Cannes nel 2021 Nanni Moretti, che aveva vinto la Palma d’oro nel 2001 con La stanza del figlio, ritorna quest’anno per la nona volta in concorso con un’opera fresca, originale e liberatoria. Confrontandosi con una pagina importante della storia politica italiana Il sol dell’avvenire ci offre un auto-riflessione, caustica e faceta, sul cosa significhi fare cinema oggi.

C’è un qualcosa del giovane Moretti in questa commedia musicale agrodolce, piena di autoderisione, ribelle, toccante e molto ben scritta, che giocando sulla convenzione del film nel film, moltiplica i piani narrativi, trascinandoci in una farandola di situazioni esilaranti.

Con una modalità già impiegata più volte in passato, Moretti interpreta nel film il doppio immaginario di sé stesso, il personaggio di Giovanni un cineasta famoso, pedante e moralizzatore, che sta per girare un film dal titolo: Il sol dell’avvenire ambientato a Roma nel 1956. Protagonista di questo film è Ennio il caporedattore dell’Unità- interpretato dal grande Silvio Orlando- un uomo profondamente implicato nell’azione del partito comunista, che è per lui più che una fede politica, una vera ragione di vita. Molto attivo anche a livello della sua sede di quartiere, con l’amatissima moglie Vera (Barbora Bobulova), anche lei iscritta al partito comunista, invita un circo ungherese ad esibirsi per qualche giorno nella sua borgata per offrire un po’ divertimento ai suoi concittadini.

Il circo arriva a Roma con i suoi artisti, la sua grossa tenda e tutti i suoi animali, proprio il giorno in cui Budapest viene invasa dai carri armati sovietici, gettando tutti quanti nello scompiglio. Come reagirà il comitato del partito comunista italiano difronte ad un tale sopruso? Quale sarà la posizione di Togliatti, il segretario generale, di fronte a questa tragedia. Come si può restare ancora fedeli all’Unione Sovietica e non condannare pubblicamente la linea di Mosca? Questo è quanto si domanda la moglie di Ennio che insieme alla troupe ungherese del circo va in giro a raccogliere firme per una petizione, contro l’invasione Russa.

Questa storia verrà ripresa più volte nel corso della pellicola che alterna episodi della vita del regista fuori e dentro il set, a delle sequenze in cui vedremo il making off de Il sol dell’avvenire. Moretti riesce, con un montaggio degno di nota, ad entrare ed uscire da tutte queste realtà, con una fluidità giocosa, senza mai appesantire tropo la narrazione.

Già dal primo giorno, ancora prima del primo ciack, le cose iniziano a mettersi male per il regista da lui impersonato nel film: maniaco e completamente nevrotico, Giovanni insiste con sua moglie Paola, interpretata dalla splendida Margherita Buy, sua complice in molti film, e con sua figlia nel compiere lo stesso “rituale” che ha compiuto anche prima dei suoi tredici precedenti film: cioè guardare con loro un film, Lola di Jacques Demy (1961) a casa sullo schermo televisione mangiando un gelato, senonché questa volta tutto sarà diverso. Sua figlia riceve un messaggino dal suo nuovo ‘fidanzato’, dice di avere un appuntamento con lui ed esce di casa. Anche sua moglie, che ha prodotto tutti i suoi film precedenti, riceve una chiamata urgente da un giovane regista che ha deciso di produrre ed esce per recarsi sul suo set. Per Giovanni è ormai un fatto assodato: il nuovo film andrà male!

L’evoluzione della vicenda sembra dargli ragione: Pierre, il suo co-produttore francese, interpretato con grande brio da Mathieu Amalric, viene ben presto arrestato dalla guarda di finanza per debiti e truffa e il film si blocca perché non ci sono più soldi.

Anche nella sua vita personale le cose sono messe male per Giovanni: ben presto scopre che il ‘fidanzato’ di sua figlia è il settantenne ambasciatore dell’Ungheria a Roma, interpretato dal mitico Jerzy Stuhr, e, soprattutto, che sua moglie, che lui ama sopra ogni cosa con la quale vive da quarant’anni, non senza avere fatto prima alcune sessioni, completamente esilaranti, con uno psicanalista, ha preso la decisione di lasciarlo per sempre.  

Moltiplicando l’idea del film nel film, Nanni Moretti, inserisce un terzo filone che s’intreccia con la narrazione della vita del suo personaggio e con il racconto delle riprese del film. In una delle prime sequenze, confida alla sua assistente, di avere sempre voluto girare un film sui quarant’anni di vita in comune di una coppia, illustrandolo con quaranta canzoni. Questo film musicale, di fatto, s’insinua nel costrutto generale non solo perché svariate canzoni vi fanno irruzione ma perché – come avviene nei musical- più volte il racconto si arresta per fare spazio a delle scene in cui tutti cantano e ballano sul set, come la scena in cui si sente in sottofondo

Vorrei vederti danzare, di Franco Battiato.

 Forse è difficile immaginarsi come tutto questo possa funzionare, eppure funziona perfettamente creando un’atmosfera tutta particolare, vivace e brulicante, in cui passato e presente si mischiano sulle note di tutte queste canzoni fortemente evocative. 

Il sol dell’avvenire è anche l’occasione di fare un meta-discorso sul cinema stesso. Moretti approfitta del suo doppio di finzione, per denunciare tutto quanto lo urta nel modo di fare cinema oggi. In un episodio, che ha fatto molto ridere il pubblico in sala, il regista Giovanni si confronta incredulo, ai dirigenti di Netflix che non fanno altro che ribadire, come un disco rotto, che i loro film vengono visti in ben 190 paesi, in un altro episodio interrompe il rodaggio dell’ultimissima scena del film del giovane regista hype che produce sua moglie, per una notte intera, perché trova intollerabile che un uomo spari in faccia ad un altro uomo che sta in ginocchio davanti a lui. In mille modi cerca di spiegare al suo giovane collega che fa film violenti e sanguinari con molto successo, che una scena simile non è solo brutta esteticamente ma è anche eticamente inammissibile.

Per convincerlo convoca addirittura l’architetto Renzo Piano sul set e vuole telefonare pure a Scorsese per chiedergli il suo parere. Inutile dire che, alla fine,  la scena viene girata proprio come voleva il giovane collega, al quale il sermone di Gianni non è riuscito a fare cambiare idea. Fra alti e bassi e vicissitudini di ogni tipo, finalmente il finanziamento di il Sol dell’avvenire viene assicurato da un gruppo di produttori coreani, entusiasti della sceneggiatura in cui il protagonista, incapace di confrontarsi con le decisioni del partito comunista, frustrato e deluso, si toglie la vita.

Ma il film deve proprio finire cosi? Si domanda Giovanni dopo essersi passato lui stesso, per alcuni lunghi istanti, un cappio intorno al collo, sul set del suo film.

Il film si chiude, in modo quasi felliniano, con un inno gioioso e prorompente alla vita: con una grande sarabanda, allegra e multicolore, di tutti coloro che hanno collaborato con Nanni Moretti nel corso della sua lunga carriera cinematografica. Il regista li riprende frontalmente mentre camminano sorridenti con un passo veloce e deciso, come se prendessero parte ad una marcia politica. Vedere passare davanti alla cinepresa, come in una festa, tanti volti, cosi cari, del cinema italiano è profondamente commovente.

Se questo film è per Moretti un film-commiato, è sicuramente fatto con molta eleganza.

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