BENETETTA di PAUL VERHOFEN

LA FANTASMAGORIA DEL DUBBIO

Benedetta di Paul Verhoeven, certamente uno dei film più attesi del concorso, era in teoria già pronto per l’edizione 2020 di Cannes ma sia il regista che l’organizzazione del festival, hanno preferito spostare la premiere per tempi migliori. Che i tempi siano veramente migliori resta da vedere; oggi infatti informazioni di corridoio sussurrano che i casi di Covid si stanno moltiplicando e c’è anche chi pensa che il festival potrebbe venire interrotto: dicerie? rumori infondati? verità non ammesse? Tutte queste eventualità restano per ora aperte ma fanno stranamente eco all’opus baroccamente furioso di Verhoeven: la storia di una manipolazione, di un’impostura o,  molto più semplicemente, la storia di una follia lucida oppure  quella di una visione chiara e di una consapevolezza assoluta dei propri atti nascosta dietro maschere e chimere. Verhoeven è riuscito, ancora una volta, a realizzare un film tanto possente quanto profondamente inquietante. La storia di Benedetta suora ossessa, visionaria, appassionata, volitiva ed affascinante nel suo candore tinto di nero, ci trascina in un labirinto sinuoso e pieno di trappole dal quale noi stessi non siamo sicuri di uscire, neanche dopo la fine del film. Benedetta, religiosa eretica e manipolatrice, mantiene il suo mistero e crea una sensazione di malessere fino all’ultimo istante. Guardando i titoli di coda si resta ancora stupiti e dubitativi. Intensa e giocosamente ambigua il ruolo di Benedetta, Virginie Efira, illumina di scintille meravigliose e sinistre ogni immagine del film. Per il soggetto del film Verhoeven ha tratto ispirazione dal libro Immodest Acts: The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy (1986) della storica americana Judith C. Brow che ha ricostruito gli eventi della vita di una monaca dell’ordine delle teatine, Benedetta Carlini, culminata in un’inchiesta per eresia nel 1623. La vicenda di Benedetta sembra iniziare su un tono minore, in un mood benevolo che nulla lascia intuire di quanto succederà in seguito: in una strada di campagna bagnata dal sole, un piccolo corteo si ferma per riposare davanti alla statua di una madonna, al centro del gruppo c’è un padre benestante, una dama elegante e una bimba dai lunghi capelli biondi. Durante questa sosta la comitiva viene improvvisamente attaccata da un gruppo di briganti. Il padre spiega di non avere neanche una moneta su di sé perché stanno andando al monastero di Pescia dove la loro figlioletta si dedicherà alla vita monastica. I briganti non si danno per vinti e strappano con una spada la collana d’oro dal collo della madre di Benedetta ma lo fanno senza contare con l’intelligenza e la prontezza della bimba che dice loro di essere in comunicazione diretta con la madonna; se non restituiscono la collana subito succederà loro qualcosa di terribile. Il fato è complice della piccola bugia –  o forse non è una bugia e la bambina crede veramente a quanto dice – un uccello passa e sporca uno dei briganti sul volto. Segno premonitorio, miracolo? I malfattori un po’ sul serio e un po’ per scherzo si lasciano convincere e rendono la collana d’oro alla madre di Benedetta. In questa prima scena, apparentemente leggera e gioiosa, si cela già in nuce il cammino ed il futuro di Benedetta. A partire da questo punto in poi Verhoeven ci trascina in un universo violento e pragmatico, celestiale e libidinoso con una verve impressionante e una maestria totale della messa in scena. Fiaba dark, blasfema, corrosiva, splendente e gaiamente irriverente su sfondo di pandemia- la peste bubbonica domina la parte finale del film- Benedetta marca il nostro spirito a fuoco. Una volta varcate le mura del convento le buone intenzioni e le buone disposizioni della bimba si scontrano violentemente con la durezza delle regole imposte dall’ordine religioso. Il suo bel vestito di seta azzurra le viene subito tolto di dosso; al suo posto Benedetta deve indossare una specie di cilicio che le gratta la pelle – la vera professione di fede è indissolubilmente legata alla sofferenza fisica, alla mortificazione della carne- alla bimba viene sottratta anche una statuetta di legno raffigurante la madonna, un regalo della madre al quale lei tiene molto. Questo oggetto ritornerà molto più tardi nel corso della vicenda e rivestirà un ruolo cruciale. Durante la notte la bambina, triste e sola nella sua cella, decide di andare a pregare davanti una grande statua della madonna nel cortile del convento ma proprio mentre Benedetta è inginocchiata e prega la statua si stacca dal suo piedistallo e le cade addosso. Benedetta resta incolume. Casualità o segno del destino? In quanto futura ‘sposa’ del signore, per essere accettata dal convento Benedetta deve portare con sé una dote ed è il compito della badessa il riuscire a negoziare con i genitori la somma più ingente possibile. Donna intelligente e particolarmente dotata per gli affari, la badessa dirige il convento delle teatine  come una vera e propria impresa. Arguta e piena di sfumature, l’interpretazione di Charlotte Rampling in questo ruolo è straordinaria. Un’ellissi di 18 anni ci trasporta nel cuore di una rappresentazione del sacro mistero dell’Assunzionedella vergine; il quadro è festivo, i genitori di Benedetta sono gli invitati d’onore nella chiesa del convento bardata a festa. Benedetta ormai donna, splendida, con i lunghi capelli d’oro interpreta la madonna ma proprio mentre viene sollevata verso l’alto ha una visione: Cristo le dice di seguirlo e di correre verso di lui. Questa non sarà che la prima di una serie di visioni, estremamente esilaranti- l’elemento dell’humor e del grottesco fanno da sempre parte dell’universo espressivo di Verhoeven- che trasporteranno Benedetta in un’altra dimensione intrisa di misticismo, violenza e lussuria, facendole credere di essere un’eletta di Dio. In realtà, lo spirito della giovane donna è turbato da oscuri impulsi sessuali tanto più potenti quanto più difficili sono da canalizzare nella vita reale. L’arrivo al convento di Bartolomea- interpretata con verve da Daphné Patakia- una giovane contadina maltrattata e seviziata da padre e fratelli, segna una vera e propria svolta nella vicenda. Come un animale selvatico ferito, la nuova arrivata cerca affetto e prova un’attrazione istantanea per Benedetta. Dapprima represse, le pulsioni sessuali di Benedetta diventano sempre più incontrollabili. Fra sensi di colpa, desiderio carnale represso e una serie di visioni sempre più deliranti Benedetta finisce per avere le stigmate. Miracolo o pura impostura? Poco importa in fondo perché questo fenomeno conviene perfettamente ai giochi di potere del prelato locale che vede un’ottima opportunità di liberarsi della scomoda badessa sostituendola con Benedetta al capo del convento. Da questo punto in poi il flusso degli eventi diventa incontrollabile. Finalmente libera di fare quello che vuole Benedetta sceglie come sua aiutante la giovane Bartolomea e si lascia finalmente sedurre dalla ragazza. Le scene di sesso, filmate come un tableau vivant, lasciano trasparire i corpi delle donne e la loro foga attraverso la tela dei loro vestiti e sono illuminate da una luce calda come le fiamme dell’inferno. Ritrovando per caso la vecchia statuetta di legno di Benedetta in un cassetto, Bartolomea decide di scolpirne un’estremità a forma di pene per accrescere il piacere della sua amante. Il ‘terribile’ peccato carnale non passa inosservato. Dopo il suicidio di una giovane suora che aveva tentato invano di denunciare Benedetta ai suoi superiori accusandola di essersi inflitta con le proprie mani le stigmate, la badessa destituita decide di ricorrere all’aiuto del potente nunzio apostolico. A Firenze, dove la pesta bubbonica sta decimando gli abitanti, l’ex badessa riesce a convincere il Nunzio di recarsi al convento per interrogare Benedetta. Le ultime sequenze del film sono un’apoteosi di violenza, di follia visionaria, di speranza e di morte. Alla fine non vince l’amore ma la determinazione di Benedetta, una donna fuori dai canoni pronta a tutto pur di soddisfare la sua volontà di potenza. La visione di Verhoeven, espressa attraverso una straordinaria opulenza visuale, sia pure temperata da buona dose di grottesco, resta in questo film plumbea.  La storia di Benedetta, così come ci viene raccontata, non è quella di una rivendicazione del diritto all’omosessualità ante-litteram ma il cammino tortuoso, disperatamente iperbolico, irriverente, manipolatorio e blasfemo di una donna decisa ad ottenere il massimo dalla vita, utilizzando tutti i suoi talenti se in buona o in cattiva fede, questo non lo sapremo mai. Verhoeven esclude ogni meccanismo di identificazione con la sua protagonista; ermetico imperscrutabile, senza scrupoli il personaggio di Benedetta non ispira né simpatia né empatia ma un’estrema curiosità e un fascino quasi morboso. Nella sua singolarità e diversità Benedetta ha un qualcosa di eroico e di irriducibile è uno specchio deformante che ci rinvia, senza mezzi termini, ai nostri propri demoni.   Una breve notizia alla fine del film, c’informa che Benedetta ritornerà a vivere nel convento delle teatine di Pescia in Toscana, sarà ammessa a tutte le funzioni religiose ma dovrà restare sempre seduta per terra e morirà nel convento alla veneranda età di 75 anni. Il film ha diviso la critica; i suoi detrattori vedono in Benedetta semplicemente la sequel di un genere porno dedicato alle suore misogino e sessista, i suoi difensori invece considerano Benedetta come un’opera irriverente, provocatoria e piena d’inventività artistica nella migliore tradizione del regista.

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