Alessia Brandoni/ Per ricordare  tutti quelli che, non evitando le conseguenze della vita, riformulando la tesi di un noto film, non hanno mai abbandonato la speranza. Né la possibilità di costruzione di uno spazio di non-inferno con gli altri. Che possano dirsi fortunati.

Li ricordiamo, e nel farlo alcuni buchi di questo cielo azzurro si riempiono di tempo e legna; per fare il fuoco, per ricordare, per raccontare di nuovo.

 

Trovate insieme un racconto di Sherwood Anderson, Il libro del Grottesco (1919), e una poesia di Giovanni Giudici, Alcuni (da Fortezza, 1990).

 

Il Libro del Grottesco

 

Lo scrittore, un vecchio con i baffi bianchi, ebbe delle difficoltà per andare a letto. Le finestre della casa nella quale viveva erano in alto ed egli voleva guardare gli alberi quando si svegliava al mattino. Venne un falegname ad accomodare il letto in maniera che fosse allo stesso livello della finestra.
S’era fatto un gran parlare della cosa. Il falegname, che era stato soldato nella Guerra Civile, arrivò nella stanza dello scrittore e si sedette a parlare proponendo di costruire una piattaforma per rialzare il letto. Lo scrittore aveva dei sigari in giro, e il falegname fumò.
Per un po’ i due uomini parlarono di come rialzare il letto e poi parlarono d’altro. Il soldato arrivò a parlare della guerra. Lo scrittore, in effetti, ce lo aveva portato. Il falegname era stato prigioniero ad Andersonville e aveva perso un fratello. Suo fratello era morto di fame, e ogni volta che il falegname toccava questo argomento, piangeva. Come il vecchio scrittore, anch’egli aveva dei baffi bianchi, e quando piangeva increspava le labbra cosicché i baffi gli ballavano in sù e in giù. Quel vecchio era comico mentre piangeva con il sigaro in bocca. II progetto che lo scrittore aveva per rialzare il letto fu dimenticato e in seguito il falegname lo fece a modo suo e lo scrittore, che aveva passato i sessant’anni, per andare a letto la sera doveva aiutarsi con una sedia.
A letto lo scrittore si rigirò su un fianco e stette quasi immobile. Per anni si era riempito la testa con nozioni sul mal di cuore. Era un fumatore accanito e il suo cuore si imbizzarriva. Si era messo in testa che un giorno sarebbe morto inaspettatamente e ogni volta che andava a letto, pensava a questo. Non lo spaventava affatto. Al contrario, provava una sensazione del tutto speciale e non facilmente descrivibile. Lo rendeva più vitale, proprio quando era lì nel letto, più che in qualsiasi altro momento. Giaceva perfettamente immobile e il suo corpo era vecchio e non più molto valido, ormai, ma qualcosa dentro di lui era rimasta giovane. Era come una donna incinta, solo che l’essere dentro di lui non era un bambino, ma un giovane. E nemmeno, non era un giovane, ma una donna giovane, con indosso un vestito di maglia come quello dei cavalieri antichi. È assurdo, vedete, cercare di dire cosa c’era dentro il vecchio scrittore mentre se ne stava sul suo alto lettone ad ascoltare il battito ribelle del cuore. C’è da capire, piuttosto, cosa lo scrittore, o il giovane essere dentro di lui, stesse pensando.
Il vecchio scrittore, come tutta la gente di questo mondo, aveva accumulato nel suo cervello una grande quantità di nozioni, durante tutta la sua lunga vita. C’era un tempo in cui era stato proprio un bell’uomo ed un gran numero di donne si erano innamorate di lui. E poi, naturalmente aveva incontrato gente, tanta gente, e l’aveva conosciuta in una maniera singolarmente intima, diversa da quella in cui voi ed io conosciamo le persone. Almeno questo era ciò che lo scrittore pensava e questo pensiero lo divertiva. Perché discutere con un vecchio su ciò che pensa?
A letto lo scrittore fece un sogno che non era un sogno. Mentre era ancora sveglio, ma stava già per addormentarsi, cominciarono ad apparirgli davanti agli occhi delle figure. Immaginò che quella giovane e indescrivibile cosa dentro di lui conducesse una lunga processione di figure dinanzi ai suoi occhi.
Si capisce che tutto l’interesse sta nelle figure che sfilarono dinanzi agli occhi dello scrittore. Erano tutti grotteschi. Tutti gli uomini e le donne che lo scrittore aveva mai conosciuto, erano divenuti grotteschi.
I grotteschi non erano tutti orribili. Alcuni erano divertenti, altri quasi belle, e uno, la figura di una donna tutta contorta, colpì il vecchio come l’essenza stessa del grottesco. Vedendola passare, egli emise un suono simile al guaito d’un cagnolino. Se vi fosse capitato di entrare in quella stanza avreste pensato che il vecchio aveva fatto un brutto sogno oppure soffrisse d’indigestione. Per un’ora la processione di grotteschi passò davanti agli occhi del vecchio, poi, sebbene gli fosse gravoso, scivolò fuori dal letto e incominciò a scrivere. Alcuni tra i grotteschi gli avevano fatto una profonda impressione e voleva descriverli.
Lo scrittore lavorò un’ora a tavolino. Alla fine scrisse un libro che intitolò “Il Libro del Grottesco”. Non fu mai pubblicato, ma io lo vidi una volta e lasciò un segno indelebile nella mia mente. Il libro aveva un pensiero centrale molto originale che non mi ha mai abbandonato. Solo ricordandomelo ho potuto capire molte persone e molte cose che non ero mai stato in grado di capire, prima. Quel pensiero era complesso, ma ad esporlo in maniera semplice suonerebbe pressappoco così.
In principio quando il mondo era giovane c’era un gran numero di pensieri ma nessuno era una verità. L’uomo stesso creò le verità, e ogni verità era composta di un gran numero di pensieri vaghi. E in tutto il mondo ci furono verità ed erano tutte bellissime. Il vecchio aveva elencato centinaia di verità nel suo libro. Non cercherò di riportarvele tutte. C’era la verità della verginità e quella della passione, la verità della ricchezza e quella della povertà, della morigeratezza e dello sperpero, della negligenza e dell’entusiasmo. Centinaia e centinaia di verità, ed erano tutte belle. Poi veniva la gente. Ciascuno al suo apparire afferrava una delle verità ed alcuni che erano forti, ne arrivavano ad afferrare anche più di una.
Erano le verità che rendevano queste persone grottesche. Il vecchio aveva in proposito una teoria molto complicata. Era convinto che nel momento in cui una persona si accaparrava una verità, la diceva sua e allora cercava di vivere secondo questa e diventava un grottesco, così come la verità diventava un inganno. Potete capire da voi come il vecchio, che aveva passato la vita intera scrivendo così da essere pieno di parole, potesse scrivere centinaia di pagine sull’argomento. Il soggetto avrebbe potuto diventare così vasto nella sua mente, da fargli correre il pericolo di diventare lui stesso un grottesco. Non lo diventò; suppongo per la stessa ragione per la quale egli non pubblicò mai il libro. Fu la creatura giovane c’hera in lui che lo salvò.
Per quanto riguarda il vecchio falegname che sistemò il letto dello scrittore, l’ho ricordato soltanto perché, simile in questo a molte persone giudicate per lo più affatto comuni, diventò in spirito molto vicino a quanto di comprensibile e degno di amore si trova in tutti i grotteschi del libro.

 

“Alcuni”

 

Alcuni inseguono tutta la vita
uno scopo – il disegno di un meccanismo
un seme particolare di grano un incrocio di canarini
l’attuazione di un piano la costruzione di una casa.

Alcuni in abitazioni private o in asili
psichiatrici ritentano solitari di carte
o calcoli di moto perpetuo o altre
più improbabili imprese come rivoluzioni.

Essi sono uomini o donne derisi
o tutt’al più gentilmente commiserati
sia perché l’ambizione che li muove si giudica eccessiva
sia perché appare futile l’obiettivo.

Ma io voglio dire che al confronto
non c’è impresa spaziale né invenzione
pari all’attento studio di costoro che sacrificano
alla cosa impossibile ogni raggiungibile piacere.

Essi hanno parenti amici e figli madri e padri
mogli e mariti hanno maestri e direttori di coscienza
che accampano più esperienza
e che li esortano alla quotidiana concretezza.

Essi come ognuno di noi hanno persone e cose
di cui la presenza stessa ha forza più delle parole
e gli argomenti risultano inoppugnabili
quando gli dicono – pensa a quel che fai.

Non c’è dubbio – i persuasori sono nel giusto
perché è senza conforto lo stato di questi ostinati
e agitato è il loro sonno scarsa la salute del corpo
e non hanno alleata la minima probabilità.

Non è il loro coraggio coraggio di giocatore
o rischio calcolato di trafficante
e nemmeno intuito di stratega o di capo politico
o di chirurgo all’unica estrema occasione.

Essi non hanno con sé la tradizione di una fede
anzi tradiscono a volte
sovvertono la morale fomentano il disordine
in se stessi perduti prima di ogni salvezza.

E non possono indicarti il nome di qualcuno
perché non ha fama chi è nella vera ignominia
né superbia di martirio né la gloria di un emblema
ma grazie ad essi ha un senso la specie uomo.

Pensando di loro ti scrivo queste parole
oggi che dirci insieme è dire nessuna speranza
sbarrati da ogni saggezza sbarrati dalla storia
ormai più di passato che di futuro nutribili.

E chiamandoti a un futuro di penuria
io chiedo la tua insania perché la mia abbia forza
perché si possa dire che è una cosa reale
quella che due distinte persone vedono identica.

E tutto questo è ancora poco al confronto
del nulla di chi insegue un solitario ideale.
Essere umani può anche significare rassegnarsi.
Ma essere più umani è persistere a darsi.

 

*Ieri, in un funerale che è diventato un’assemblea e una festa, una persona, che una volta è stato un prete e ora insegna psicologia, ha preso la parola e, ricordando l’amico scomparso che aveva conosciuto in un posto molto simile a quello nel bosco, ha letto questa storia appartenente alla mistica ebraica, così come trasmessa da Yosef Agnon.

“Quando il Baal Schem, il fondatore dello chassidismo, doveva assolvere un compito difficile, andava in un certo posto nel bosco, accendeva un fuoco, diceva le preghiere e ciò che voleva si realizzava. Quando, una generazione dopo, il Maggid di Meseritsch si trovò di fronte allo stesso problema, si recò in quel posto nel bosco e disse: “Non sappiamo più accendere il fuoco, ma possiamo dire le preghiere” -e tutto avvenne secondo il suo desiderio. Ancora una generazione dopo, Rabbi Mosche Leib di Sassov si trovò nella stessa situaizone, andò nel bosco e disse: “Non sappiamo più accendere il fuoco, non sappiamo più dire le preghiere, ma conosciamo il posto nel bosco, e questo deve bastare”. E infatti bastò. Ma quando un’altra generazione trascorse e Rabbi Israel di Rischin dovette anch’egli misurarsi con la stessa difficoltà, resto nel suo castello, si mise a sedere sulla sua sedia dorata e disse: “Non sappiamo più accendere il fuoco, non siamo capaci di recitare le preghiere e non conosciamo nemmeno il posto nel bosco: ma di tutto questo possiamo raccontare la storia”. E, ancora una volta, questo bastò”.

 

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