In un festival i cui slogan, negli anni, hanno mirato a sottolineare il rispetto nei confronti della diversità e, più in generale, il valore della tolleranza, il cinema gay e lesbo ha sempre occupato uno spazio importante e di grande rilievo.

La Berlinale, caso piuttosto unico fra i festival di serie A del circuito mondiale, associa ai regolari riconoscimenti anche un premio particolare, il Teddy Bear, assegnato da giuria e pubblico al miglior film omosessuale proposto dalla selezione ufficiale.

Tra i molti titoli proposti, due film occupano — per ragioni assai diverse — uno spazio di primo piano: uno dei favoriti della critica, Hatsu-Koi del giapponese Imaizumi Koichi, e il bizarro horror-trash Otto; or, up with Dead People del regista, fotografo e scrittore cult Bruce LaBruce, entrambi inseriti nella sezione Panorama.

Hatsu-Koi (letteralmente Primo Amore), è la storia intensa di una impossibile relazione gay fra un adolescente ed un suo compagno di classe, del quale si scopre innamorato. Il ragazzo realizza che i condizionamenti culturali del proprio paese sono il muro invalicabile che lo divide dalla felicità. I protagonisti del film (Tadashi e una coppia omosessuale incontrata per caso su un treno) sognano un matrimonio regolare e la legittimazione dei loro sentimenti, sullo sfondo di un sistema sociale assai rigido che impone ruoli e comportamenti attraverso un codice sottile, quasi subliminalmente instillato nelle vite dei suoi abitanti.

Pellicola a basso costo interamente girata in digitale, Hatsu-Koi è però penalizzata dalla bassa definizione dell’immagine quanto dalla sceneggiatura, a discapito dell’innegabile incisività della critica alle limitazioni della libertà sentimentale (oltre che sessuale).

Discorso ben diverso invece per un maestro di genere, il canadese Bruce LaBruce, che ha presentato il suo ultimo lavoro (già al Sundance), Otto; or, up with Dead People.

LaBruce, noto per i suoi horror porno-gay dal forte sfondo ideologico e amato con uguale forza dal pubblico gay ed etero, ha deliziato l’ampia platea, entusiasta al limite del feticismo, con la storia di Otto, zombie in piena crisi esistenziale, costretto ad adattarsi alle regole di un mondo capitalista che non conosce e non capisce. La sua salvezza (ovvero l’accettazione) arriva attraverso una eccentrica regista, impegnata nella realizzazione di un film porno-horror.

La brillante sceneggiatura, ricca di dialoghi intelligenti e acutamente politici, astute invenzioni e una fotografia impeccabile, prevede anche, come da tradizione, scene esplicite di sesso omosessuale, come parte integrante di un copione fatto di visceri, carne e sangue.

Mai banale e molto divertente, Otto; or, up with Dead People conferma la capacità di LaBruce di riflettere su una realtà che supera i confini dei generi sessuali, ma si confronta con i suoi mutamenti in una critica alle convenzioni e all’emarginazione dal “sistema”.

 

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