Non ci siamo proprio. Non è con questi esercizi maldestri, con questi mezzucci  cinematograficamente scorretto/fighetti, che possiamo far entrare folate d’aria nuova nel nostro cinema. Ago Panini sceglie le strade di una storia corale, di un luogo sordidamente astratto e di una commedia nera per ravvivare il linguaggio cinematografico italiano. Le strade, però, le formule e gli stessi generi cinematografici, sono spazi insignificanti prima di essere attraversati e vissuti, scatole vuote, griglie asettiche, contenitori che acquistano significato e identità solo con ciò di cui vengono riempiti. E la cosa fondamentale di un film, come di un discorso, di un pensiero, di ogni forma espressiva, è la qualità stessa del contenuto. Il ruolo della forma, nei rari casi in cui la forma diventi il contenuto stesso (una fotografia irresistibile, una successione di immagini capaci di catturarci senza spiegarci come) è quello di esaltare, enzimizzare, facilitare l’assorbimento del contenuto stesso, conferirgli, cioè, il più alto grado possibile di espressività. I problemi irrisolti di Aspettando il sole sono la vacuità e la povertà di ogni discorso.

Non ci interessa la formula delle storie incrociate, per la verità neanche troppo bene, che ricordano Inarritu e più in generale tutta una recente tradizione americana (Magnolia, Crash contatto fisico ecc.). Non ci interessa perché nessuna storia di Aspettando il sole ha qualcosa da dirci, né da un punto di vista estetico né, tantomeno e soprattutto, da uno contenutistico. Nessuna delle storie stimola la nostra curiosità di andare a vedere fino in fondo, nessuna delle vicende offre spunto di riflessione alcuno. Ma, limite primo e inaccettabile dell’opera, il film mai diverte o coinvolge, ed anzi sfianca, alla lunga se non prima. Non influisce sull’esito finale del lavoro neanche la trovata, per di più superficiale anche questa, di ambientare quest’insieme di storie confinanti e scalcagnate, negli (ormai cinematografabili) anni ’80. Di quel decennio, nel film, non c’è nulla se non qualche arredo o accessorio che lasciano il tempo che trovano. Furbata senza ossigeno, quindi, e senza forza: solo spezia aromatica, nel tentativo, inconsciamente disperato, di dare sapore ad una carne sanguinolenta, ma fondamentalmente sciapa di sapore.

Due parole sul cast, invece, doverose. Un gruppo incredibile di attori, un film ricchissimo di nomi e facce, un dispiegamento insolito e fuori luogo di performer, di talenti di prima e seconda fascia cinematografica. Michele Venitucci il sensibile playboy paesano di Tutto l’amore che c’è, il pugile introverso di Fuori dalle corde, il giovanotto puro de L’anima gemella, il vigilantes ingravidatore misterioso de Il seme della discordia. Poi Claudio Santamaria il dandy trasteverino di Romanzo criminale, uno degli urlatori disperati de L’ultimo bacio, il gangster salentino di Fine pena mai, il musicista talentuoso di Quando arrivano le ragazze. Ed ancora, Claudia Gerini, la borgatara Jessica di Viaggi di nozze, l’inquilina sexy di Nero bifamiliare, l’Enza ciancicona di Grande grosso e Verdone, la mogliettina borghese di Non ti muovere, la giovane ragazza di Padre e figlio. Passando per Vanessa Incondrada, l’esordiente cieca de Il cuore altrove, la bella ragazza di Andata + ritorno, l’amante violentata di Quale amore, una delle spesse donne de La cena per farli conoscere. Ed ancora Corrado Fortuna(il siciliano sognatore di My name is Tanino, il Fiorello giovanissimo de Il mattino ha l’oro in bocca); Gabriel Garko (il bello malato di AIDS de Le fate ingoranti, il supersexy ed egoista amante di Una moglie bellissima), Rolando Ravelli (Almost Blue, Romanzo di un giovane povero, La cena, Fratella e Sorello), Raoul Bova (Alien vs predator, La fiamma sul ghiaccio, La lupa, Ti stramo, Scusa ma ti chiamo amore, La finestra di fronte), Giuseppe Cederna (Mediterraneo, Bidoni, Anime fiammeggianti, La famiglia, Italia Germania 4-3), Bebo Storti (A Casa nostra, In principio erano le mutande, Si può fare, Amnesia)

Tutto questo ben di dio per un film che guarda troppo ad altri film e poco all’importanza di una sceneggiatura solida. Il risultato è un film confuso e stonato che nella ricerca del rocambolesco e del modaiolo, non si cura di formarsi un carattere e una personalità. Aspettando il sole è un film che cerca di far colpo senza raccontarci niente di se stesso.

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