Perchè sì

Perchè no

 di Francesca Caruso

Dopo il toccante e significativo Mare Dentro del 2004, il regista e sceneggiatore Alejandro Amenabar si mette nuovamente dietro la macchina da presa per realizzare un film appassionante e grandiosamente imponente come Agora, un film sulla passione per la ricerca della conoscenza, sulla cultura millenaria, ma soprattutto su una donna che ha saputo incarnare tutto questo.

Alessandria d’Egitto, 391 d.C. La filosofa e astronoma Ipazia fa l’insegnante di una classe di uomini, suoi discepoli, ed è responsabile della Biblioteca di Alessandria. Tra questi, Oreste dichiara il suo amore per lei, ma viene respinto. Un altro uomo desidera il suo amore, Davo, il suo schiavo, che affronta una lotta interiore tra l’amore per Ipazia, pagana, e il desiderio di divenire cristiano e unirsi ai parabolani, una setta cristiana. Gli screzi tra le due fazioni non si fanno attendere e i parabolani prendono il sopravvento sui pagani, che vengono scacciati dalla Biblioteca, che verrà distrutta e il suo sapere perduto per sempre. Gli anni passano, i parabolani hanno acquisito sempre più potere, il vescovo Cirillo attacca senza sosta le altre religioni minori, tra cui quella ebraica. Oreste divenuto prefetto cerca di mantenere la pace e stemperare il clima, ma Cirillo tenta di minare il suo potere, accusando Ipazia di empietà e dichiarandola una strega. La pellicola è ispirata a eventi reali, mai portati prima d’ora sullo schermo. Amenabar ci è arrivato per caso: era da tempo che desiderava realizzare un film che parlasse di astronomia. Il periodo preso in esame, con i suoi collaboratori, inizialmente era molto più vasto, e quando ci si è accorti che tutti gli scienziati non potevano far parte del progetto, ha scelto l’unica donna, Ipazia, sulla quale ha fatto numerose ricerche sia sul lavoro da lei svolto sia sul suo vissuto. Di entrambi gli aspetti non è rimasto molto materiale, del suo lavoro praticamente nulla, ma dalle lettere ritrovate e da alcuni scritti rimasti dell’epoca, si sa che era una donna di grande intelletto e una brava astronoma. L’intento del regista è che lo spettatore faccia un viaggio nel tempo e nello spazio. Agora parla di avvenimenti accaduti nel passato che si possono riscontrare nel mondo odierno. Sottolinea quanto l’essere umano sia poco cambiato, nonostante il trascorrere dei secoli, non riuscendo o non volendo imparare dai propri errori. Il mondo della conoscenza si è bloccato per un periodo troppo lungo, se tutto quel sapere non fosse andato bruciato, si sarebbe potuti arrivare molto prima a scoperte straordinarie. L’uomo per sua natura ha brama di potere e il modo più facile e veloce per ottenerlo è usare la violenza sui propri simili, poterli soggiogare e sottomettere. E oggi come ieri la religione, qualsiasi essa sia, è una buona scusa per portare avanti una guerra tra fazioni. Agora è un film visivamente e contenutisticamente potente. Vi si racconta la storia di una donna, di una città, di una civiltà. Una donna che è andata contro corrente, che era libera, che credeva nei valori che sosteneva, coraggiosa, carismatica, una figura tollerante in un periodo in cui l’intolleranza regnava sovrana e questa sua diversità e autonomia non piaceva. Amenabar ha voluto mostrare una donna in un mondo di uomini. Mette in scena una filosofa, una maestra di uomini, allo stesso modo come poteva esserlo un uomo. Ipazia è stata devota alla scienza e voleva essere vista come un filosofo, non come una donna. Vi dedica tutta la vita, rifiutando l’amore, per essere libera di portare avanti i suoi studi. La città di Alessandria, prima che arrivasse il periodo di sconvolgimenti che ne avrebbe decretato la fine, è stata la culla della cultura e del sapere, scienziati e intellettuali venivano da ogni parte del mondo per arricchire la propria conoscenza, discutendo di matematica, astronomia, teatro e molto altro. Il film possiede un respiro internazionale, è stato girato in lingua inglese e la troupe e gli attori provengono da tutta Europa e non solo. Tra europei, sudamericani e mediorientali si sono rappresentate diverse parti del globo. Regista spagnolo, attrice principale britannica, Rachel Weisz, senza dimenticare attori israeliani, palestinesi, egiziani e iraniani. Vi è rappresentata una multiculturalità etnica, tutti impegnati a creare una sinergia perfetta sullo schermo. Amenabar è riuscito in quello che voleva essere il suo intento, ovvero realizzare un film che portasse lo spettatore a trovarsi per due ore nell’Alessandria di Ipazia e ad assistere alla distruzione di quella che è la seconda Biblioteca del Serapeo come fosse accaduto oggi. Per ciò che riguarda la location si è scelto di girare a Malta, perché possedeva il clima di cui il regista aveva bisogno.
Molta importanza si è data alla luce. Ipazia è il centro estetico della pellicola, è la fonte di luce del film e illumina ogni cosa la circondi. Il direttore della fotografia Xavi Giménez ha puntato sulla sua figura affinché emergesse dalla sua umanità quella luminosità che pervade il film, anche nei momenti di distruzione. Il regista in più di un’occasione ha inquadrato il movimento degli individui dall’alto, mostrandoli come delle formiche. Questo perché rispetto all’immensità del creato, l’uomo è infinitesimale proprio come potrebbe essere una formica, nell’ordine delle cose. In una sequenza in particolare, a sottolineare questa intenzione, la macchina da presa indugia sull’operato di un gruppo di formiche che si muovono su alcune rovine, riprendendole in plongée, proprio per far notare quanto siano piccole rispetto all’uomo. Allo stesso modo riprende gli esseri umani che vanno e vengono, mostrandoli piccoli rispetto all’ambiente in cui vivono. Un’altra scelta del regista è stata quella di allontanarsi dalla violenza, inquadrando spesso il globo terrestre, facendo in modo che emergessero solo le voci, i pianti, le grida, e questo scelta è stata fatta per sottolineare come la Storia non è poi così cambiata, rispetto a ieri.
Agora è il racconto di una umanità, di una sete di conoscenza, del coraggio di lottare per ciò in cui si crede, rischiando la vita se necessario, per non vedersi sottratta la libertà di essere se stessi e manifestare le proprie idee.
È un film straordinariamente efficace e diretto abilmente, che merita di essere visto.

 di Marino Galdiero

Forse ci sarà un’altra occasione per valutare l’opera di Amenabar che in quest’ultima prova risulta deludente e mediocre. Raccogliere la storia di Ipazia, l’astronoma, matematica, filosofa, a capo della scuola neoplatonica di Alessandria d’Egitto nel IV secolo dopo cristo, per riproporla oggi è sicuramente una bella sfida, uno stimolante tentativo di trasportare il passato di fronte ai nostri occhi. L’esito scenografico è quasi riuscito, anche se facilmente scattano i paragoni con i kolossal storici americani dell’epoca d’oro, come con quelli che presto arriveranno realizzati in 3D. Dal confronto Agorà ne esce sconfitto, perché se polpettone storico deve essere, l’amante del genere esige che l’eccesso spettacolare abbia la meglio, tenendo insieme quella che è la verosimiglianza degli avvenimenti con uno stile inconfondibile. Esempi ancora insuperati da riguardare fotogramma per fotogramma con la dovuta devozione sono due film di Kubrick: Orizzonti di gloria (1957) e Spartacus (1960). Amenabar non sembra essersi impegnato a sufficienza nella visione di questi due capolavori, anzi, li ha proprio omessi. Grave. Molto grave. Potremmo aggiungere, sostenuti dal parere di Stanley, che il peccato del regista cileno-spagnolo è quella di non riuscire a drammatizzare le proprie idee, le racconta solo.

Buona parte della ricostruzione storica, pur con le indulgenze proprie di un’opera di finzione, rispetta quanto si sa sulla vicenda di Ipazia massacrata da una banda di parabolani, i “chierici-pretoriani” al servizio del patriarca Cirillo, uno dei principali Padri della Chiesa del tempo, nemico giurato di eretici, pagani ed ebrei. Amenabar fa anche vedere che c’erano altre posizioni nel mondo ecclesiale, come nel caso di Sinesio di Cirene (altro padre della Chiesa). Altrettanto vero è che si deve a dei fanatici cristiani la distruzione del tempio-biblioteca alessandrino del “Serapeo”. Qualcosa in più per rendere più chiaro lo sfondo storico poteva esser detto sulle dinamiche politico conflittuali provocate dall’editto dell’imperatore Teodosio che impose la fede cristiana come unico culto legittimo. Non dovrebbe però sorprendere la violenza dei fedeli in Cristo, nella lunga storia di questa religione non sono mancati periodi bui e personaggi non all’altezza delle parole del Vangelo.

Con Agorà però il regista cerca di costruire il tutto su un’idea non credibile, almeno per l’epoca: la contrapposizione tra scienza e religione. Ipazia non era e non poteva essere una sorta di Galileo Galilei ante litteram. Non era una scienzata moderna che valuta la realtà su una base sperimentale, l’esperimento della caduta dei gravi su una nave è quello realizzato da Galilei, non c’è nulla che ci dice che avrebbe potuto realizzarlo Ipazia. Un anacronismo difficile da digerire perché dovrebbe sorreggere l’intera interpretazione del personaggio. Inoltre Ipazia era neoplatonica quindi con una visione del mondo di carattere mitico-cosmico. In qualche misura il tipo di conflitto intellettuale possibile in quel periodo era tra un orizzonte creazionista da una parte, ed uno di origine mitica dall’altra. Lascia perplessi anche la contrapposizione tra donna-conoscenza e uomo-violenza che se è in parte vera risulta piuttosto schematica. Non si capisce poi per quale ragione Ipazia rifiuti l’amore di un uomo, al corteggiamento di un allievo della scuola risponde misteriosamente donando al malcapitato un fazzoletto col sangue del suo mestruo!

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