LO SPENDORE DELLA MARGINALITÀ

LOCARNO 74

Con una radicalità ed un rigore esemplare Peter Brunner ha saputo costruire in questi ultimi anni un’opera intransigente, unica, coraggiosa e completamente fuori dagli schemi. Con una forma di umanismo assoluto il regista ha sempre sondato, senza falsi pudori, il lato dolente dell’esistenza interessandosi a quegli individui che, per la loro diversità, ne abitano le frange estreme. Il cinema di Peter Brunner non indulge mai sul piacevole, me scruta con uno sguardo acuto ed inesorabile dei corpi umani deformi o malati e delle anime travagliate rendendo loro con la forza poetica delle sue immagini tutta la loro dignità e la loro bellezza.

Davanti alla sua cinepresa i corpi dolenti diventano materia di racconti possenti ed eroici, trovando lungo il cammino impervio della loro esistenza la via di una redenzione estrema.

Il fulcro intorno a cui si costruiscono le sue storie e costituito da due elementi ricorrenti e centrali del suo universo creativo/artistico; la religione ed i rapporti famigliari, che si fondono e si confondono in un’unica realtà.

Allievo di Michael Haneke alla Filmakademie di Vienna, Peter Brunner conta come alleato alla produzione del suo quarto lungometraggio, Luzifer, presentato in concorso a Locarno, con l’aiuto di un altro mostro sacro del cinema austriaco contemporaneo: Ulrich Seidl. La regista e moglie di Saidl, Veronika Franz, gli si è affiancata come aiuto regista durante le riprese.  Luzifer, la cui trama è ispirata da un fatto di cronaca, si allinea perfettamente con le opere precedenti del regista aggiungendo un ultimo capitolo splendente di cupa bellezza alla sua filmografia.

Centro di questa storia che si svolge in uno chalet di alta montagna, completamente autonomo e tagliato fuori dal mondo è una coppia di individui: la madre Maria e suo figlio Johannes, un ragazzo di una ventina d’anni con la mente di un bambino.

Redenta sulla sua via crucis di giovane alcolizzata e drogata dal marito Elias, Maria gli devolve un vero culto. Immersa in un universo religioso tutto suo fatto di preghiere e di dura penitenza la donna vive in una simbiosi assoluta, fisica e spirituale, con il figlio.

Raramente dei corpi sono stati filmati in tutta la loro antinomia e fragile bellezza, come se fossero un unico essere a due teste. Peter Brunner riesce questo tour de force sondando con la sia cinepresa ogni piega del loro volto travagliato e della loro pelle. I corpi si uniscono spesso nella preghiera formando, l’uno sull’altro il segno della croce. Le braccia aperte verso il cielo madre e figlio invocano il signore e chiedono forza e perdono. Certo Il limite fra il lecito e l’illecito nel loro rapporto sembra fluido e poroso ma, nella foga religiosa di Maria – interpretata con un dono assoluto di se dall’attrice non professionista Susanne Jensen, pastore protestante nella vera vita, queste categorizzazioni perdono ogni importanza. A  Johannes, un ragazzo sensibile e perso nella sua ecolalia, – lo sentiremo ripetere durante  il film una seria di parole, sempre le stesse ; mama, papa, diavolo e poche altre ancora. Peter Rogowski presta il suo corpo attoriale con un abnegazione assoluta  e una giustezza commovente a questo personaggio. Gli unici compagni nella vita solitaria del ragazzo sono una serie di uccelli rapaci di cui si prende cura fra qui ‘Arthur”, un’aquila reale, con la quale ha un rapporto quasi fusionale.

Facendo ricorso ad una metafora biblica, la traiettoria del film potrebbe venire descritta come una caduta dal paradiso terrestre se non che, quanto accade nel corso della vicenda non è dovuto ad un intervento divino ma alle azioni degli uomini.

Mentre la parte iniziale della pellicola descrive questo piccolo Eden perduto in cui madre e figlio vivono in autarchia, liberi, secondo le proprie regole, la seconda parte è dedicata al processo di distruzione progressiva di questo mondo. La pace di questo luogo, in sintonia con gli animali e la natura, verrà turbata dalle mire di un imprenditore locale che intende costruire un lift proprio sul terreno in cui si trova lo chalet dei protagonisti. Dopo avere tentato con le buone di convincere la donna a vendere e scontrandosi con il suo netto rifiuto una serie di rappresaglie sempre più violente si abbattono sui due protagonisti. 

In una dialettica di sopraffazione e prevaricazione omicida, pur di servire gli interessi economici del loro padrone, una banda di lavoratori senza scrupoli, ricorre ai metodi forti per costringere la coppia ad abbandonare la propria casa.  Il percorso di lenta distruzione e l’annientamento finale di questo nucleo famigliare va di pari passo con una riflessione sulla distruzione della natura per mano dell’uomo. Allo sguardo vigile ed attento di Johannes che sa leggere i segni del medio ambiente, si oppone nel film l’intrusione violenta dei droni che controllano e spiano la vita dei protagonisti. 

Se Luzifer ci parla di un rapporto madre-figlio assoluto e viscerale e di un amore che supera la morte, ci parla altrettanto anche della natura in pericolo; queste due tematiche indissolubilmente legate nel film vengono portate dalla colonna sonora maestosa di Klaus Kellermann e Manuel Grandpierre che conferisce una dimensione cosmica alla vicenda corroborata anche dalla  fotografia  di Peter Flinckenberg sa cogliere la bellezza struggente servendosi di riprese aeree fluide e sinuose che sfruttando l’altitudine spostandosi virtuosamente dall’alto in basso e viceversa in accordo perfetto con il soggetto del film.

Immolati sull’altare degli interessi economici, gli eroici protagonisti del film risplendono con un’ultima, indelebile, scintilla di umanità.

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