La creazione documentaria italiana ha conosciuto negli ultimi anni una vera e propria rinascita attraverso una serie di opere esteticamente, socialmente e politicamente significative, ampiamente riconosciute e premiate in ambito internazionale.

La Viennale, che ha sempre seguito con interesse quest’evoluzione consacrando nei suoi programmi uno spazio privilegiato al documentario made in Italy, ha deciso di presentare quest’anno Palazzo delle Aquile e Tahrir, le due ultime opere di Stefano Savona, documentarista di spicco della giovane generazione.

Autore di un cospicuo numero di documentari che lo hanno spesso condotto, sfidando rischi  ben concreti per la sua integrità fisica, a gettarsi nel cuore degli eventi Stefano Savona sa osservare con estrema attenzione e sensibilità l’accadere e sa cogliere – anche nel pieno del tumulto di fatti e situazioni d’urgenza – i meccanismi di potere, la retorica e l’ambiguità insita in ogni atto politico, ma sa anche, ugualmente, ascoltare, percepire e farsi testimone dei momenti di autentica, viscerale ribellione e speranza.

Idealista convinto, ma lucido Stefano Savona ha il  pregio di sapersi avvicinare ai suoi soggetti con empatia senza mai perdere il suo spirito critico, ma senza neanche emettere dei giudizi aprioristici. Il regista lascia ai suoi spettatori lo spazio necessario per pensare, domandarsi e decidere, senza mostrare o imporre un cammino prefigurato.

Il lavoro di Stefano Savona è quello di uno storico; la sua maniera di fare documentario non ci offre solamente una prova del e sul reale, ma è innanzi tutto una lettura critica, strutturata dei fatti ed in quanto tale ci fornisce in primo luogo materia di riflessione.

I documentari di Stefano Savona sono politici e poetici al contempo; l’impegno e l’interesse socio-politico del cineasta si associano ad una grande sensibilità artistica, un senso acuto per l’inquadratura, la capacità di immergersi ed amalgamarsi in un ambiente per coglierne il polso e sondarne l’essenza con un rigore tecnico assoluto.

Nato a Palermo nel 1969, Stefano Savona studia archeologia e dal 1999 realizza installazioni video tra cui D-Day, presentato nel 2005 al Centre Pompidou e documentari quali Primavera in Kurdistan (2006), che ottiene il Premio internazionale della SCAM al Cinéma du Réel e una nomination ai David di Donatello, e Piombo fuso (2009), Premio speciale della giuria Cineasti del presente a Locarno. Nel 2011, insieme ad Alessia Porto ed Ester Paratore dirige Palazzo delle Aquile, vincitore del Grand Prix di Cinéma du Réel. La sua ultima produzione è Tahrir, presentato all’ultimo festival di Locarno.

Stefano Savona é da poco anche produttore; il cortometraggio In attesa dell’avvento di Felice D’Agostino, Arturo Lavorato, ricompensato con il Premio Orizzonti Cortometraggio alla Mostra del Cinema é stato prodotto dalla sua casa di produzione Piko Films.

Ho incontrato Stefano Savona per la prima volta questa primavera a Parigi in occasione della premiazione del suo documentario Palazzo delle Aquile al Festival du Réel con il Grand Prix, massimo premio del festival. Nel corso della nostra lunga conversazione Stefano Savona, oltre ad avere chiarito molti aspetti specifici del suo documentario, ha abbordato in maniera più dettagliata anche le ragioni che motivano il suo lavoro in generale; in questo contesto era inevitabile parlare di Tahrir che il regista aveva finito di girare proprio in quel periodo.

Tahrir è stato proiettato, in prima mondiale quest’estate al Festival di Locarno suscitando un grandissimo interesse. Mi sembrava logico continuare questo dialogo con il regista ascoltando le sue parole e la sua testimonianza su questo  documentario girato in mezzo alla popolazione ribelle di Piazza Tahrir. Palazzo delle Aquile e Tahrir sono, in un certo senso, due opere complementari; l’osservazione è condotta nei due casi con delle modalità diverse dettate in primo luogo dalla situazione concreta che Stefano Savona ha dovuto di volta in volta affrontare e che ha determinato la prassi delle riprese, il tipo di materiale usato e, più essenzialmente ancora, il montaggio e la costruzione narrativa dei due film. Comune ai due lavori resta la sensibilità del regista, la sua capacità di approccio dei personaggi, la sua abilità a fondersi, senza confondersi, con una realtà concreta mantenendo quel difficile equilibrio fra empatia e distacco critico ed infine il suo profondo interesse per il rapporto fra l’individuo e società, per l’uomo in quanto essere politico, nel senso aristotelico del termine.

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