Ottantotto minuti di tensione continua, sorda, ineffabile ed occulta è quanto William Vega riesce meravigliosamente a mettere in scena nel suo film La Sirga. Presentato martedì 22 maggio alla Quinzaine des Réalisateurs ( e in questi giorni a Cannes a Roma) La Sirga descrive, con poesia e cruda bellezza, il viaggio iniziatico di una ragazza fra i pericoli di una zona lacustre in Colombia.

Un uomo morto pende su un palo issato nel mezzo di un canneto. Una ragazza corre disperata nel fango, senza meta apparente, e stramazza esausta al suolo; qualcuno la scopre e la porta in salvo con la sua barca.  Misteriosa ed agghiacciante la prima sequenza del film ci immerge in media res.

Ritroveremo Alicia, la dolce ed impavida eroina di questa vicenda, davanti ad una fatiscente casa in legno: La Sirga. Una desolazione infinita regna in questo luogo: il cartello in legno con il nome della casa pende di traverso, gli infissi sono cadenti, una parte del tetto distrutta. La dimora, a due passi dal lago, è immersa nella melma.

Oscar, un cinquantenne tarchiato, scontroso e burbero, l’accoglie diffidente sulla soglia: l’uomo stenta a riconoscere in Alicia sua nipote, che non ha più visto da anni. La ragazza gli chiede asilo per qualche giorno; della gente – non ci verrà mai spiegato chi – ha preso d’assalto il suo villaggio e dato fuoco alle case. Sua madre è morta nell’incendio. Sul padre non verremo a sapere nulla.

Il film è composto da una serie di tasselli narrativi che più che spiegare il vero stato delle cose, aggiungono ulteriori interrogativi ed accrescono il senso diffuso di mistero che impregna questa vicenda. Ogni fotogramma rinvia al fotogramma seguente come al luogo di tutti i possibili; La Sirga si svolge in un clima cupo e pieno di presagi nefasti come le nuvole nere sull’orizzonte sempre coperto de La Cocha, un lago situato nella zona montagnosa delle Ande, dov’è ambientata.

Alicia sembra persa nei meandri di questa storia, un po’ come l’omonima eroina del romanzo di Lewis Carroll. Pur mantenendo un impianto realista, la pellicola è impregnata dell’atmosfera mitica di questi luoghi carichi di tradizioni e di leggende ataviche.

Dal momento in cui Alicia entra nella Sirga, mille pericoli sembrano sorgere ad ogni passo; a cominciare dall’atteggiamento ostile di Oscar che sembra volerla mettere alla porta, per continuare con Flora, la governante della casa, che l’accoglie in un primo momento con freddezza ed indifferenza.

Mite ed apparentemente fragile, Alicia – magnificamente interpretata dalla giovane attrice Joghis Arias – riesce a superare ogni ostacolo con una sorta di resistenza muta e caparbia.

Profondamente traumatizzata, la ragazza é sonnambula; di notte esce scalza con una candela in mano e si avvia verso l’acqua del lago. Oscar la soccorre a più riprese e la rimette con cautela a letto. La condotta dell’uomo, irreprensibile di giorno, lascia affiorare di notte un fondo di desideri repressi; Oscar l’osserva regolarmente attraverso una fessura nel muro mentre si spoglia ed ogni volta che la sfiora c’immaginiamo che voglia violentarla.

Il timore dello stupro si ripresenta una notte quando gli amici di Oscar festeggiano e si ubriacano nella casa e poi di nuovo, quando, Fredy, il cugino partito tempo addietro, ricompare un giorno dal nulla. Una tempesta si accanisce sulla Sirga, distruggendo completamente il tetto malandato della casa; la ragazza che lotta nella pioggia per ripararlo si ammala gravemente ma riesce, contro ogni aspettativa, a rimettersi.

Alicia sembra passare immune attraverso la concupiscenza degli uomini che la circondano, la furia degli elementi, la malattia ed il suo dolore. Il film riesce a mantenere un equilibrio ammirabile fra la tensione continua, il presagio costante di una tragedia in arrivo e la forza calma, la fede nel lavoro quotidiano ed in un avvenire migliore che anima la sua protagonista.

Alicia mantiene, nel fondo del suo essere ferito, una scorta di serenità e di ottimismo, intrepida vive nel presente applicandosi con dedizione ai compiti del quotidiano. Simbolo di questa fiducia nell’avvenire è la trasformazione della Sirga.  Dal primo giorno la ragazza s’impegna con tutte le sue forze per ristrutturare la casa e prepararla all’arrivo dei turisti nella buona stagione; ostinata ed instancabile pianta dei chiodi nelle lamiere del tetto, sostituisce le tavole di legno marcio della veranda, riattacca gli infissi delle finestre, dipinge lo steccato, appende delle tendine e sistema, alla fine, dei vasi di fiori sui davanzali.

La ristrutturazione della Sirga va di pari passo con il diventare adulta della protagonista; alla fine di questo lungo processo la grossa baracca in legno avrà ritrovato un po’ di bellezza, una bellezza fragile ed effimera certo, ma sufficiente per ridare un po’ di speranza ai suoi abitanti.

Mentre Alicia aspetta con gioia l’arrivo dell’estate, l’eventualità di un’aggressione armata nella zona sembra farsi ogni giorno più probabile. Questo almeno è quanto pensa, Fredy, il figlio di Oscar, che sbarca improvvisamente alla Sirga con un braccio bendato; dietro la sua calma apparente s’intuisce un potenziale di crudeltà e violenza.

Nel frattempo una fragile storia d’amore sorge fra Alicia e Mirici, il ragazzo che l’ha portata in salvo con la sua barca. Ma anche Mirici è un personaggio a doppio fondo. Allegro ed affabile in apparenza, Mirici nasconde dei segreti come i fucili che trasporta sotto i sacchi di carbone. Un giorno offre ad Alicia una statuetta in legno che ha scolpito con le sue mani e le propone di andarsene via con lui. Più per stuzzicarlo che per altro, la ragazza rifiuta di prenderla.

Questo oggetto funge da catalizzatore di tutta la vicenda.

La Sirga è un film sorto da un luogo; è  un inno d’amore per questa regione splendida, selvaggia ed ostile dove gli uomini vivono ancora – secondo le parole di un personaggio- pensando di dovere spartire tutto con il resto della comunità in parti uguali. La forza simbolica delle immagini, vive del sostrato mitico di questa regione.

Con una cura documentaristica William Vega tesse organicamente nella trama la realtà concreta del luogo filmando il lavoro duro ed ostinato dei pescatori locali, le rudimentali installazioni di allevamento della trota, le mine di carbone semi-abbandonate della zona. La Sirga è anche un film politico, non tanto per gli oscuri riferimenti alle lotte clandestine e alla violenza che dilaniano il paese, ma proprio per il modello di vita che ci propone.

Pur abbordando la costruzione dei suoi personaggi con accuratezza, disegnandone sottilmente l’ambiguità, William Vega li descrive con enorme rispetto, si sente in quest’atteggiamento tutto l’affetto e la stima che il regista porta per le popolazione di questa regione dove ha passato lunghi periodi di tempo scegliendo fra gli abitanti del luogo gran parte del suo cast.  Oscar è interpretato da Julio César Roble, che lavora per i diritti dei minatori in una NGO locale, Flora è interpretata da Floralba Achicanoy, che appartiene alla popolazione indigena della zona.

Nel film la parola fra gli individui è rara e frugale, i dialoghi sono concisi; la comunicazione passa piuttosto attraverso i gesti ed il fare concreto delle mani – quanto affetto e desiderio represso c’è nella scena lancinante in cui Oscar toglie con le sue dita il fango dai piedi della nipote
addormentata – e si concentra nell’intensità degli sguardi, sui volti chiusi ed ermetici dei protagonisti.

Il suono è un protagonista essenziale in questa pellicola dove la natura sovrasta costantemente il destino degli uomini: il vento fa sbattere con un’insistenza opprimente le lamiere del tetto, s’insinua sibilante da ogni fessura, la pioggia scroscia insistente e dei rumori sordi, minaccianti turbano il sonno degli abitanti della Sirga.

L’eccellente fotografia crea tutta l’atmosfera del film captando con maestria la nuvolosità cangiante del cielo all’esterno e la luce puntuale delle candele all’interno della Sirga. Questo dialogo fra l’interno e l’esterno, la casa e la natura si riflette ugualmente nelle inquadrature; dei piani lunghi e delle riprese dall’alto verso il basso che abbracciano il paesaggio in tutta la sua maestosa bellezza si alternano a dei primi piani costruiti come delle vere e proprie composizioni pittoriche. All’interno di queste inquadrature il valore plastico degli oggetti ci rinvia direttamente all’iconografia fiamminga.

Mostrare e celare, rivelare e nascondere, questo costante movimento fra cose presenti e cose occulte, realtà fattuale e catastrofe incombente, si riflette in un gusto spiccato della messa in scena per una serie di oggetti che permettono una visione parziale: così le cornici delle finestre, le fessure nelle pareti di legno o il buco lasciato da un proiettile su un vetro focalizzano lo sguardo sui particolari mentre la nebbia onnipresente dissolve la  percezione dell’ambiente circostante.

La Sirga è un film che associa una rara bellezza plastica – le inquadrature sono spesso sublimi – con un soggetto finemente trattato ed una sceneggiatura che c’invita a molteplici letture; certamente uno dei film più complessi e completi di questa selezione.

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