di Armando Andria / Una coppia si scatta dei selfie tra le macerie. Un ragazzino parla al telefono con un amico tra le casette prefabbricate. Un anziano va in giro tra i detriti stringendo una foto e mostrandola a tutti. Una manciata di interviste. Un lungo pianosequenza attraverso le rovine. Di questo si compone il breve lavoro (15 minuti) che Gianni Amelio ha realizzato ad Amatrice, il comune rietino trafitto dal terremoto dell’agosto 2016, e che presenta fuori concorso alla Mostra. Poche “piccole” cose, filmate e montate senza enfasi e clamore giornalistico: gli elementi essenziali di un lutto ancora presentissimo e di una lenta ricostruzione in corso.

Per realizzare questo lavoro Amelio e una ridottissima troupe di collaboratori hanno trascorso ad Amatrice alcuno giorni in punta di piedi, consapevoli del rischio di andare a girare in un luogo in cui la ferita è ancora aperta. “Casa d’altri”, non a caso, proprio a sottolineare la condizione di ospiti, dell’autore così come di noi spettatori, rispetto a un territorio che non è il proprio; la condizione di chi entra nell’intimità di persone che non si conoscono e deve quindi farlo con delicatezza e pudore.

Non si tratta di un documentario, ma a tutti gli effetti di un cortometraggio narrativo; realizzato però con materiale, storie e persone reali. Le testimonianze degli intervistati, poche parole nitide e pulite, a lacrime asciutte, colpiscono per sincerità e dignità. Ricordano i momenti terribili delle scosse, lo scavare con le mani tra le pietre in cerca dei corpi, parlano della necessità di avere il prima possibile abitazioni decorose. Una maestra racconta del trauma che ancora vivono i suoi bambini: riescono a comprendere cosa sia la morte e il dolore che genera, ma non a immaginarsi come essa possa intervenire “per schiacciamento”, cosa avvenga in quel caso ai corpi.

Non c’è traccia nel film degli elementi polemici che hanno occupato l’informazione in questi mesi. Allo stesso modo non c’è pietismo nell’occhio che filma e nell’orecchio che ascolta, ma il riconoscimento di un dolore pieno di contegno, vissuto da una certa distanza, come dietro a una linea immaginaria di rispetto. Proprio quel confine che la degenerazione della curiosità a ogni costo, dello sciacallaggio mediatico, si rifiuta di riconoscere.

Il lento pianosequenza tra le macerie, muto, ci accompagna infine all’uscita di Amatrice, con ancor più delicatezza di quella con cui eravamo entrati.

“La memoria non basta”, scrive Amelio in esergo a Casa d’altri. Ma il suo piccolo lavoro ha la forza di rendere omaggio a quanti hanno vissuto un anno di passione e desiderano adesso guardare avanti. Potrebbe essere lo studio per un più completo film a venire. Ma intanto è già un piccolo saggio su come un’opera audiovisiva può, e forse deve, filmare l’umanità in stato di sofferenza.

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