Ben più che un film di guerra convenzionale, Linhas de Wellington é uno strano, affascinante oggetto cinematografico, irradiato dalla vena creatrice del suo artefice originario, Raùl Ruiz, di cui costituisce l’ultimo progetto incompiuto, il film è animato da una nuova, sobria ed elegante interpretazione da parte di Valeria Sarmiento che ne firma la regia.
Montatrice e cineasta discreta dalla solida carriera, Valeria Sarmiento, compagna e complice del regista per oltre trent’anni, ha fatto prova di un notevole coraggio accettando la proposta di Paulo Branco – produttore dell’ultimo splendido opus di Ruiz, Misterios de Lisboa (2010) – di portare a termine il progetto abbozzato dal regista. In perfetta sintonia con il suo carattere, il grande maestro cileno continua così a sorprenderci con un inatteso seguito della sua filmografia: Lihnas de Wellington è il suo secondo film, in un certo senso postumo, dopo La nuit d’en face presentato quest’anno alla Quinzaine des Réalisateurs.
In Linhas de Wellington Valeria Sarmiento riesce a fare una vera e propria quadratura del cerchio. Riprendendo con virtuosismo l’imponente impianto narrativo a più filoni che caratterizzava già Misterios de Lisboa  la regista riesce a ricrearne con brio l’ammirevole fluidità. Attraverso la descrizione di una miriade di destini che s’incrociano, si scontrano, si ritrovano o si perdono per sempre lungo l’avanzare o meglio la lunga ritirata delle truppe anglo-portoghesi di Wellington in direzione di Lisbona, Valeria Sarmiento dà vita al grande affresco di un evento storico coinvolgendoci nel pieno di una campagna militare vista da un lato e dall’altro dei due eserciti in lotta.
La sceneggiatura di Carlos Saboga, anch’egli collaboratore di lunga data di Ruiz, trae la sua materia d’ispirazione da un episodio cruciale nella storia del Portogallo: la terza invasione napoleonica avvenuta nel 1810. Incalzato dalle truppe francesi che, sotto la direzione del maresciallo Massena, si erano lanciate alla conquista del paese mettendo tutto a ferro e fuoco lungo il loro passaggio, il grande stratega inglese aveva finto una ritirata attirando l’esercito nemico, numericamente superiore, in un tranello letale: le famose fortificazioni di Torres Vedras – le linee di Wellington appunto – fatte costruire in gran segreto proprio alle porte della capitale.
Sullo sfondo di questa dimensione epica le varie trame della narrazione si sviluppano in un movimento a prima vista erratico, rivelandoci cammini e destini diversi che, impercettibilmente, finiscono per comporre un insieme sorprendentemente organico. Come un’enorme ragnatela il racconto si dirama in più direzioni, soffermandosi, di volta in volta, sull’intimità di una serie di personaggi: ogni episodio genera con una stupefacente naturalezza quello seguente tenendoci sospesi, in modo irresistibile, all’accadere e facendoci passare con una miracolosa naturalezza da un campo militare all’altro, da una lingua all’altra – il francese, il portoghese o l’inglese – da una classe sociale all’altra.
L’ampio scenario della pellicola è abitato in ugual misura dai due generali, Wellington e Massena, dai nobili di turno – in una delle prime, squisite, scene del film una famiglia composta da Michel Piccoli, Catherine Deneuve e Isabelle Huppert tenta invano di fare conversazione con il suo scontrosissimo invitato, un Massena ermetico e cupo interpretato da Melvil Poupaud – e poi via, via dagli ufficiali dei due eserciti, da mercanti e sapienti, da damigelle e cortigiane di tutti i generi, da suore, monaci e preti, da predicatori sanguinari, da briganti e da patrioti portoghesi.
Valeria Sarmiento dipinge un’umanità intera di gente in fuga: chi è alla ricerca di persone care perse di vista, chi è ferito, chi malato, chi in punto di morte, infondendo alla sua messa in scena passione, accuratezza, arguzia e facendo glissare nel trattamento del soggetto storico la sua visione personale della società.

Più i personaggi sono altolocati, più il loro ritratto è caricaturale: Massena (Melvil Poupaud) costantemente muto ed assolutamente impenetrabile, sembra affetto da autismo, mentre Wellington (John Malkovich),  più che delle operazioni militari in corso sembra essere preoccupato del suo aspetto nei quadri dipinti da un pittore francese al suo seguito (Vincent Perez) e si chiede se deve considerarsi offeso o al contrario lusingato dal fatto che un piatto di carne porti il suo nome. Una giovane nobildonna inglese (Victória Guerra) tenta di convincere un ufficiale a fare l’amore con lei spiegandogli di avere acquisito l’esperienza necessaria con suo fratello generando così una grottesca disquisizione sulla rettitudine morale di un tale modo di agire.

Al contrario quando lo sguardo si sposta verso le classi sociali meno favorite il tono cambia e gli episodi narrati lasciano ampio spazio ai sentimenti e ad interpretazioni sensibili e commoventi come quella dell’attrice spagnola Marisa Paredes, nel ruolo di una donna impazzita dal dolore (parte splendidamente recitata in portoghese), o quella di Filipe Varga, nei panni di un dotto dell’epoca che viaggia alla ricerca della donna amata portandosi dietro tutto il suo studio montato su un carretto, o ancora quella del carismatico attore portoghese Carloto Cota che impersona un giovane patriota ferito in fuga.

Il cast che annovera un numero impressionante di star, molte di cui avevano lavorato in passato con Raúl Ruiz  (cfr. nota), riesce a sfuggire di poco al pericolo di trasformarsi in un mera riunione commemorativa grazie alla presenza di molti giovani attori, prevalentemente portoghesi, che bilanciano con la loro presenza fresca e la finezza delle loro prestazioni il peso eccessivo della lista degli invitati d’onore.
Maestosa e personalissima, grave e faceta Linhas de Wellington è un’opera sincretica dove la messa in scena riesce a fondere, senza mai perdere l’equilibrio, in un unico grandioso movimento, cronaca di guerra e diario intimo, commedia di costume e avventura cavalleresca. Puntando su un classicismo formale dall’impianto rigoroso Sarmiento sa dosare le riprese in interno, allestite con perizia teatrale, con delle ampie vedute esterne che conferiscono alla vicenda tutta la sua dimensione di epopea storica.

Godibile come un feuilletton del 19mo secolo, la foga narrativa della pellicola ci trasporta impercettibilmente lungo i  ben 151 minuti di proiezione.Riprendendo una formula già collaudata in occasione di Misterios de Lisboa il film,  prodotto da Arte, sarà disponibile in due versioni: una versione cinematografica ed una più lunga di 170 minuti che verrà presentata in tre episodi come mini-serie televisiva.  Un appuntamento da non mancare sul grande o sul piccolo schermo.

Nota: primo fra tutti Melvil Poupaud e poi John Malkovich, Catherine Deneuve, Isabelle Huppert, Michel Piccoli, Vincent Perez, Mathieu Amalric ed ancora Chiara Mastroianni, Elsa Zylberstein, Marisa Paredes.

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