Nulla da dichiarare, niente da nascondere, nessun mistero. Non ci sono segreti nella storia del cinema italiano di Venezia 2008. O forse sì. Perché Tatti Sanguineti racconta come gli ultimi mesi di allestimento della retrospettiva Questi fantasmi: cinema italiano 1946 – 1975 sono stati ricchi di sorprese. Vere apparizioni, degne di fantasmi in celluloide, appunto.

Nelle ultime settimane abbiamo scoperto che alla Cineteca Nazionale esistono venti minuti di girato de Lo sceicco bianco. Lo abbiamo visionato insieme a Moraldo Rossi, all’epoca aiuto di Fellini (Il sesto vitellone è il titolo del libro intervista di Sanguineti sui lavori e le avventure della coppia Rossi/Fellini ndr). Sono ciak mai montati o con lievi differenze rispetto a quelli montati. Le espressioni di Moraldo mentre rivedeva quei fotogrammi girati più di cinquant’anni prima dicevano tutto. Lui sarà la voce guida di un video che girerà Flavio Baglivi e sarà ospite della Mostra insieme a Brunella Bovo, la sposina di Leopoldo Trieste innamorata del divo Alberto Sordi”.

È delle ultime settimane anche un’altra sorpresa: “Tutto è musica, unico film da regista per Domenico Modugno. Lo vedremo al Lido grazie a Rudi Assuntino, cantautore e etnomusicologo allievo di Carpitella, e agli eredi Modugno. Abbiamo sentito la testimonianza di Franco Migliacci, coregista del film e autore del testo della più famosa canzone dell’Italia repubblicana, Nel blu, dipinto di blu, presentata 50 anni orsono al festival di Sanremo. Sebbene conoscessi già l’attività cinematografica di Modugno come attore e compositore di musiche, come nel caso di Che cosa sono le nuvole? di Pasolini, devo ammettere che Migliacci mi ha fatto delle rivelazioni sorprendenti. Ad esempio su una mancata e insospettabile collaborazione Modugno – Fellini. Al cinquantenario del successo sanremese di Volare è dedicata anche la presenza in calendario del film omonimo Nel blu, dipinto di blu di Piero Tellini con lo stesso Modugno, Giovanna Ralli e Vittorio De Sica, film già visto, passato forse anche recentemente in tv, ma importante da riscoprire insieme a Tutto è musica: uno il film d’occasione e l’altro il film di ricerca”.

Insieme alla Cineteca Nazionale (partner tecnico, ma anche sponsor “artistico” di alcuni titoli in programma) Sanguineti ha avuto incarico dal direttore Marco Müller di allestire un palinsesto di una trentina di titoli (quattro dei quali dedicati alla ricorrenza del ’68) cacciati, pescati e scelti da quella storia non ufficiale, apocrifa, del cinema italiano. Un capolavoro conclamato ne nasconde sempre uno non conclamato; un “grande” film nasconde sempre altri film che lo hanno reso “grande”; un “classico” nasconde sempre le tracce dei piccoli film che lo hanno preceduto. Eppure la storia del cinema è una sola: bisogna allora essere filologici, studiare, ricercare e soprattutto fare in modo che i film tornino visibili.

È  il caso de I misteri di Roma, film collettivo, ma non a episodi, ovvero le regie non sono attribuite. L’ho fortemente voluto in programma pur non essendo un capolavoro perché troppo poco visto e conosciuto. Vi presero parte una ventina di registi. Il progetto nacque dalla mente fervida di Zavattini e le ragioni della sua messa in produzione non sono comprensibili se non si considera il precedente successo e clamore de La dolce vita. Il PCI difese il film di Fellini dagli attacchi della Chiesa e dei conservatori, ma allo stesso tempo ne era quasi spaventato e credo che scosse non poco il partito. Nonostante La dolce vita sia un film sulla perdita di una purezza e su una svolta quasi antropologica dell’Italia di quegli anni, è pur sempre un film dove la classe operaia è lontanissima, non compare neanche di rimando, non esiste. Era possibile definire La dolce vita un film progressista? E Fellini un “compagno” magari di strada, magari temporaneo, a termine? Poteva un militante del PCI riconoscersi nel personaggio piccolissimo borghese di Mastroianni? No, era impossibile. Allora bisognava riportare sullo schermo i bitumatori, gli edili, i senzatetto, il sottoproletariato urbano. Ne I misteri di Roma le immagini che rimandano a Fellini sono molte: a partire da quel volo di elicottero con cui si apre simbolicamente La dolce vita, ma che ne I misteri di Roma ha invece un valore reale: svela la mostruosità della costruzione dell’albergo Hilton, e quindi il monumento della svendita agli americani della Roma democristiana. E poi le immagini di via Veneto, ma alle sei del mattino, con i netturbini al posto dei paparazzi”.

Il peso della retrospettiva nell’economia della 65° Mostra d’Arte del Cinema di Venezia non è irrilevante: tre film al giorno, oltre gli eventi extra come la proiezione de La rabbia di Pasolini.

La rabbia è uno dei più misteriosi gineprai della storia del cinema italiano. Gastone Ferranti mise in produzine un lungometraggio di montaggio tutto di Pasolini, basato sui cinegiornali Mondo Libero di sua proprietà. La chiave di lettura de La rabbia è la Guerra Fredda. Pasolini visionò il materiale e scrisse il commento ai principali fatti di cronaca degli ultimi venti anni dividendoli in due parti: 1945 – 1954 e 1954 – 1963. La sceneggiatura del film è oggi raccolta nei meridiani Mondadori. Poi Ferranti decise che non voleva più un film di Pasolini, ma un film in due parti: gli eventi degli stessi anni montati e commentati da un intellettuale di sinistra e da uno di destra. Uno visto da sinistra di Pasolini e uno visto da destra di Guareschi. Scartò il montato ’45 – ’54 e fece fare un lavoro analogo a Guareschi sui cinegiornali degli anni ’54 – ’63. Il film uscì nell’aprile del 1963, restò in sala pochi giorni e poi fu fatto sparire dalla circolazione. Dalla proiezione del film restaurato alla scorsa Festa del Cinema di Roma (alla presenza di Ferrara e D’Alema ndr) sono successe molte cose. Con la cineteca di Bologna e con gli aventi diritto vi abbiamo lavorato sopra lungamente. A Venezia sarà proietta la sola parte di Pasolini montata da Giuseppe Bertolucci e questa volta completa, integrale, con la reintegrazione del prologo originale così come è stato scritto nella sceneggiatura”.

Complice il quarantennale del ’68, la fetta più corposa di film la retrospettiva la dedica agli anni Sessanta, gli anni in cui la produzione annuale italiana giungeva anche a quota duecento. 12 film dal decennio d’oro del cinema italiani, ma 12 opere molto diverse tra loro. C’è il capolavoro dimenticato di Lina Wertmüller, I basilischi, e c’è il film di Enzo Biagi e dei fratelli Giordani Italia proibita, inchiesta giornalistica girata per il cinema sul lato oscuro degli anni del boom economico, sulle disfunzioni di sanità, giustizia e istruzione; sugli sprechi, sulla disoccupazione e sul sottosviluppo del sud. E per la parte siciliana del film ebbe un ruolo importante il giornalista Mauro De Mauro. Vedremo La bella di Lodi del regista teatrale prestato al cinema Mario Missiroli, dal romanzo di Alberto Arbasino, con una preziosa e altera Stefania Sandrelli doppiata da Adriana Asti per necessità linguistiche.

Rimpianti? “Nessuno. La scelta di lasciar fuori dalla retrospettiva gli anni Trenta è stata una scelta strategi
ca e di coerenza. È difficile calare nello stesso programma film del ventennio e film del dopoguerra. Anche se ci sono dei nitrati che non possono aspettare troppo per essere ristampati, pena la compromissione delle immagini. Sono molto contento che si vedano film come
Il grido della terra e Città dolente per il loro peso storico e per la loro capacità di contestualizzare le vicende del dopoguerra italiano nel conteso internazionale. Il cinefilo accanito potrebbe obiettare che è una retrospettiva del già visto, del già noto, ma forse è più importante l’approfondire ciò che si conosceva e si è dimenticato piuttosto che perseguire la caccia alla rarità”.

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