L’Udine Far East Film Festival 11  è stata un’edizione straordinariamente ricca e ben articolata. Dal 24 aprile al 02 maggio sono stati proiettati 56 titoli provenienti da 9 diverse cinematografie. La si può definire l’edizione dei record con 50.000 spettatori, 1200 presenze provenienti da una decina di paesi (dagli Stati Uniti alla Repubblica Ceca), 1500 pezzi (tra dvd e libri) venduti al book shop allestito per l’occasione e 25.000 visitatori sul sito www.fareastfilm.com.

L’alta qualità di ciascuna pellicola è innegabile, tutte storie sapientemente raccontate da abili maestri e nuove leve molto promettenti, storie originali e che catturano l’attenzione.

Il cinema dell’Estremo Oriente ha finalmente conquistato la giusta attenzione, smettendo di essere quell’universo sconosciuto che aveva attirato l’interesse pionieristico del FEFF. Inoltre gli appassionati del cinema asiatico sono cresciuti notevolmente soprattutto grazie al questo festival, che ha indirizzato l’attenzione di diverse case cinematografiche, le quali hanno deciso d’investire in questo florido mercato distribuendo sempre maggiori titoli in DVD. È un cinema che ha saputo reagire alla crisi con un’autentica rivoluzione. Nuove storie, nuovi autori, nuove idee, libertà creativa, dinamicità organizzativa e produttiva sono le armi sulle quali il cinema asiatico ha puntato.

Durante la manifestazione è stata mostrata l’anima di metropoli cariche di vite, di storie e di passioni da Seoul a Tokyo, da Pechino a Hong Kong, da Jakarta a Manila, per poi passare a Taipei e infine a Singapore e Bangkok. Il Far East Film Festival è uno dei pochi festival dove a ogni genere cinematografico si dà il medesimo spessore, riservando a tutti uguale attenzione, la commedia sentimentale come l’action, i film drammatici come i polizieschi, il noir o le ghosts stories.

Il trionfatore della manifestazione è stato il film giapponese Departures, già vincitore dell’Oscar come Miglior Film Straniero. Il regista Takita Yojiro ha splendidamente raccontato uno spaccato di vita del Giappone contemporaneo e la vittoria di questo premio è ritenuta ancora più importante in quanto l’attenzione non è più posta solo sui film in costume o sui film d’animazione giapponesi. Questo risultato è da considerarsi un buon punto di partenza per questo tipo di cinematografia. Il film è stato proiettato già in 59 paesi e tra maggio e giugno approderà in America e in Europa.

Departures è incentrato sul rito mortuario giapponese e lo fa con delicatezza, grazia e rispetto, elevando un semplice compito a rituale raffinato, eseguito con gesti sapienti ed eleganti. Il regista, inoltre, instilla delle perle umoristiche, poste sempre al momento giusto, con un gusto unico e un garbo senza eguali, dosando bene la commozione e il riso. Motoki Masahiro è superlativo nel ruolo del protagonista Daigo, riuscendo a delineare alla perfezione le varie sfaccettature del suo personaggio, passando sapientemente dai momenti drammatici a quelli ironici. Takita Yojiro ha realizzato un’opera originale e di indiscussa poesia.

Un’altra pellicola da porre all’attenzione di cinefili e non è il dramma storico A Frozen Flower diretto da Yoo Ha, una delle voci più interessanti del cinema coreano contemporaneo. Il film è una miscela inebriante di costumi sfarzosi, scenografie regali dai colori variopinti, combattimenti esaltanti, gelosia ossessiva, tradimenti e passioni irrinunciabili, massacri e sesso. Il regista calibra tutti gli elementi a sua disposizione con maestria, abile a mantenere la tensione drammatica anche nelle scene più semplici. A Frozen Flower è un film avvincente, la storia che Yoo Ha sviluppa non è nuova, ma il graduale modificarsi delle relazioni tra i tre personaggi principali scorre così bene che guardarli risulta affascinante.

Una terza pellicola interessante e insolita è My dear enemy di Lee Yoon-ki. Il regista realizza un road movie inusuale: Hee-soo e Byung-woon (i due protagonisti) si spostano da un quartiere all’altro della città con la macchina di lei, poi con l’autobus e, per un piccolo tragitto, a piedi. Ad ogni tappa si incontrano personaggi atipici e si viene a conoscenza di un pezzetto di vita dei due, Lee Yoon-ki mette lentamente a nudo le loro anime con pochi ma significativi cenni. Lascia ampio spazio, in determinate sequenze, ai silenzi costruendo un’atmosfera soave e rarefatta. Il ritmo del film non ha battute d’arresto, l’attenzione dello spettatore rimane alta fino alla fine, le varie angolazioni delle inquadrature utilizzate e alternate ripetutamente contribuiscono a porre in primo piano l’intimità del loro essere. Un film geniale nella sua semplicità.

Insomma il Far East Film Festival è giunto senza dubbio a occupare un posto di prima fila nel gruppo dei maggiori eventi cinematografici internazionali. È una manifestazione unica, forte della vocazione e della passione per la cultura dell’Estremo Oriente che la distingue da tutte le altre.

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