Anatomie d’une chute, scritto e messo in scena con un’ammirevole perizia da Justine Triet, è il ritratto di una donna forte ed indipendente, di un’intellettuale, madre di famiglia decisa a farsi avanti nel mondo, ambiziosa e caparbia, di una donna che non ha paura di esprimere la sua opinione, né di vivere, la sua bi-sessualità. Al centro di una vicenda giudiziaria, (accusata della morte di suo marito) Sandra, interpretata con straordinaria naturalezza, finezza e determinazione/vigore, dalla straordinaria Sandra Hüller, reclama la propria innocenza.

Justine Triet che aveva esordito a Cannes nella Semaine dela critique con la tragicommedia Victoria (2016), un altro ritratto di donna fuori dal comune – ruolo che, sia detto en passant, ha lanciato la carriera di Virginie Efira- ha sempre mostrato un interesse particolare, nel creare delle figure femminili complesse, ribelli, spiazzanti e fuori dagli schemi. Victoria, era una donna d’oggi, avvocato di successo, che ad un certo punto perde il controllo della sua vita, imbarcandosi in una serie di avventure esilaranti.

Il ritmo serrato, l’incessante succedersi di vicende farsesche, di numerosi personaggi ed il carattere esuberante della protagonista creavano in Victoria un tessuto narrativo sovrabbondante e sovraccarico, in Anatomie d’une chute, tutta quest’energia non scompare ma si fa sotterranea. Perfettamente controllata la materia narrativa e la costruzione dei personaggi punta alla sostanza, a quanto si cela dietro la facciata e le apparenze, portando a galla la loro fragilità, le loro ferite e le loro contraddizioni, con una chiarezza e con una sobrietà formale degna di nota.

Certamente l’inizio più originale e sconcertante di tutti i film in competizione quest’anno a Cannes è quello creato da Justine Triet per Anatomie d’une chute.

La pellicola inizia in medias res; due donne stanno sedute l’una di fronte all’altra; una delle due, sulla quarantina, tiene fra le mani una tazza con una bevanda calda, sorride in continuazione è di buon umore, ride, scherza l’altra invece è una ragazza visibilmente più giovane, un po’ nervosa, s’intuisce subito che si sente un po’ spiazzata ed intimidita davanti a Sandra, scrittrice di successo che è venuta ad intervistare in uno sperduto paesino svizzero di alta montagna dove l’artista vive con il marito ed il figlio, un bambino malvedente di una decina d’anni.

C’è in questa scena qualcosa d’insolito, d’incongruo nel modo in cui Sandra Voyter, anziché rispondere alle domande della ragazza, sembra più che altro cercare un contatto di tipo diverso con lei. Quando inizia a farle lei delle domande, invertendo il ruolo canonico di questa situazione, si crea un senso palpabile di disagio.

Sandra sembra molto più interessata nel conoscere la ragazza che nel fare quest’intervista con lei, vuole divertirsi ed è comprensibile dato che nell’isolamento dello chalet in cui vive i contatti con gli altri, a parte la sua famiglia ed un paio di vicini, sono sporadici.

Ma ciò che più colpisce in questa scena e la rende assolutamente unica è la musica assordante che arriva dall’attico della casa e che impedisce alle due donne di comunicare pur stando una difronte all’altra. Come un mantra che si ripete senza cessare, questa musica, riprende sempre dall’inizio; si tratta di un pezzo di calipso molto ritmato che, trasmesso in loop, farebbe perdere la pazienza a chiunque. Sandra si scusa spiegando che è la musica anche mette suo marito Samuel quando lavora nell’attico della casa che sta ristrutturando. Di fatto, in queste condizioni, l’intervista non può avere luogo. Sandra deve, molto di malincuore, a mandare via la studentessa, che sembra avere preso in simpatia. Suo marito, che non vedremo, può essere contento con sé stesso per averle rovinato- deliberatamente- quest’appuntamento ma Sandra sembra più divertita che risentita da questo suo comportamento infantile.

Siamo in pieno inverno, è una giornata soleggiata ma c’è molta neve dappertutto. Daniel, il figlio decenne della coppia, si mette degli occhiali da sole, prende Snoop, il suo cane ed esce a fare una passeggiata in montagna. Sandra dal canto suo sale le scale verso i piani superiori dello chalet.   Poco dopo, rientrando a casa il ragazzino troverà, proprio difronte all’entrata, il padre steso al suolo in una pozzanghera di sangue. L’uomo non respira più. L’ambulanza e la polizia si recano sul posto e constatano il suo decesso. Sandra dapprima interrogata come semplice testimone, viene in seguito sospettata della morte del marito.

Quanto sembra incriminarla è appunto la traiettoria che il corpo dell’uomo sembra avere effettuato cadendo dalla finestra dell’attico della casa, sul terreno adiacente all’entrata. Suicidio, incidente, o omicidio?

 Queste sono le tre possibilità che si profilano. Le perizie degli esperti sono discordanti, e se fosse stata Sandra in un eccesso di rabbia, nel corso di una lite a spingerlo nel vuoto?

Sandra, prende come avvocato un amico di vecchia data, Maître Renzi, interpretato con eleganza da Swann Arlaud, un uomo di cui si fida, in un paese che non è il suo e di cui parla male la lingua.

Qui termina, la prima parte del film, una specie di preambolo che si costruisce lentamente per sboccare sulla seconda parte, complessa ed intensa che seguirà, il processo di Sandra spostandosi alternativamente dalla sala delle udienze al suo chalet.

Pian, piano emerge cosi la storia della coppia, più che l’anatomia di una caduta – il film sembra molto giocare su delle linee verticali- la caduta dall’alto in basso, la spirale in cui sembrano precipitare i suoi personaggi- è l’anatomia di una coppia in crisi.

Sandra, scrittrice tedesca, incontra Samuel uno svizzero di lingua francese, anche lui aspirante scrittore, a Londra. Dopo avervi vissuto per alcuni anni, decidono di trasferirsi in Svizzera, nel paesino di origine di lui, un luogo fuori mano in alta montagna, dove potranno lavorare in pace ai loro rispettivi romanzi e dove spenderanno molti meno soldi per vivere.

 Con il passare del tempo questa decisione si rivela essere molto meno propizia e conveniente, di quello che i coniugi avevano immaginato. La donna soffre dell’isolamento in cui vive e soffre anche di non potere parlare bene il francese, la lingua locale, fatto che l’isola ancora di più. Samuel, pena a riprendersi dallo choc subito qualche anno prima quando guidando la macchina ebbe un incidente che costò la vista a loro figlio. Daniel dal canto suo è un ragazzino sveglio, sensibile e pieno di vitalità. Nonostante il suo handicap vive quasi una vita normale, si diverte ad andare in giro con il suo cane e a suonare il pianoforte.

Giorno dopo giorno, nuovi tasselli vengono ad aggiungersi al complicato puzzle che costituisce la vita dei coniugi; rimproveri e risentimenti vengono a galla, sensi di colpa e frustrazioni soprattutto da parte del marito che non riesce a concretizzare i suoi progetti di scrittura mentre la moglie sembra sfornare facilmente un successo editoriale dopo l’altro.

Sandra resta ferma sulle sue posizioni. Non è stata lei ad uccidere suo marito. Ma la corte di giustizia sarà pronta a crederle, o a prenderla in simpatia, nonostante lei abbia tradito il marito con una donna, dopo l’incidente che era costato la vista a suo figlio?

Durante il processo la vita dei coniugi viene ricostruita a ritroso, sprazzi della loro quotidianità vengono a galla come dei flash back. Una registrazione fatta dal marito di nascosto – parte di un suo progetto letterario basato sulla vita reale- sembra incriminare la donna e gettarla in discredito. In una delle scene più forti del film, a partire dalle voci registrate dei coniugi, la realtà prende corpo davanti ai nostri occhi, in una specie di ricostruzione mentale dei fatti raccontati sulla banda sonora.

Samuel, che compare brevemente in carne ed ossa sullo schermo, in una delle scene chiave del film, è interpretato con pathos struggente da Samuel Theis, un attore che indossa per la prima volta un ruolo drammatico.

Cosa ne penseranno i giurati ma- soprattutto – cosa ne pensa realmente il ragazzino che assisterà al processo fin dal primissimo giorno come testimone e durante il quale vedrà la vita dei suoi genitori e la loro intimità messa a nudo in pubblico?

Justine Triet descrive con grande delicatezza e precisione il quotidiano di Sandra fra il fra le udienze ed il tempo passato in casa, dove la tensione è palpabile visto che lo stato svizzero ha assegnato ad un assistente giudiziario il compito di accompagnare e proteggere il ragazzino- testimone fondamentale della vicenda- da un’eventuale tentativo di ingerenza da parte della madre.

 Il giovane attore Milo Machado Graner, ci trasporta con un’interpretazione vibrante e particolarmente intensa, nel mondo interiore di questo ragazzino coraggioso che sembra essere cresciuto più in fretta del dovuto.

La parte finale della pellicola si costruisce in un crescendo assoluto con una serie di  informazioni che daranno alla storia una svolta inattesa.
Sottile, inquietante e profondamente toccante, Anatomie d’une chute riesce a sondare l’animo dei suoi protagonisti, ad attiraci nell’abisso dei loro sentimenti e dei loro pensieri, tenendoci con il fiato sospeso fino all’ultimo. Se il titolo rinvia anche alla possibilità metaforica di una ‘caduta’ di fatto quella che la pellicola ci mostra è invece una figura di donna che resta in piedi e che, pur non attirandosi facilmente la simpatia, rimane fedele a sé stessa, al suo diritto di autodeterminazione e al suo desiderio di vivere una vita felice ed appagante.

La pacata schiettezza dell’interpretazione di Sandra Hüller conferisce al film tutta la sua consistenza e la sua forza emotiva.

Già da giorni considerato dalla critica fra i favoriti della competizione, il film ha vinto la Palma d’Oro di quest’anno, attribuitale dalla giuria presieduta da Robert Ostlund. Justine Triet diventa cosi la terza donna, dopo Jane Campion (Piano lesson, 1993) e Julia Ducournau  (Titane, 2021) premiata con la massima ricompensa del festival di Cannes.    

Il premio, salutato con un norme applauso in sala, ha fatto l’unanimità.  Non ha invece fatto l’unanimità il discorso di ringraziamento della regista che, salita sul palco del Grand Theatre Lumiere, ha pronunciato un discorso chiaramente politico criticando il presidente Macron che con le sue decisioni colpisce in pieno il mondo della cultura e soprattutto quello del cinema. Le reazioni dalla parte del governo non si sono fatte aspettare. Il ministro della cultura si è espresso assai duramente il giorno dopo ribadendo che chi riceve dei fondi statali per fare i suoi film non ha il diritto di lamentarsi. Inutile dire che questa presa di posizione ha causato a sua volta delle reazioni a catena.

Infine non bisogna dimenticare che Snoop, il cane per non vedenti del film, ha vito l’ambita Palm Dog di quest’edizione!

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