Fortunatamente in Italia l’immaginario gay oggi non è più in gran parte riconducibile a quello melodrammatico descritto dalla Tatangelo (all’ultimo festival di Sanremo, targato 2008, non 40 anni fa!). Tutta la televisione italiana e, in gran parte, anche il cinema, sembrano non saper più fare a meno di un tocco glamour gay-friendly. Anche nella vita quotidiana, essere gay in Italia sembra oggi essere molto facile, soprattutto se vivi in grandi città come Napoli, Roma o Milano. Hai i tuoi amici, anche eterosessuali, i tuoi locali, i tuoi ristoranti, le tue palestre, l’agenzia di viaggi pronta a spedirti in paradisiache comunità gaie, insomma ti sembra di essere circondato da una bolla di grande tolleranza (che brutta parola!), e che tutto il mondo che ruota intorno a te ritenga assolutamente normale (altra bruttissima parola) che tu sia gay, che viva col tuo compagno, che patisca le stesse gioie e le stesse preoccupazioni di tutti. In realtà se ti arrischi ad andare alla scoperta di quello che c’è oltre quella bolla protettiva e a rivendicare ciò che a tutti è dato per il solo fatto di essere uomini e donne, cittadini di uno Stato per il quale lavorano e pagano le tasse, quelle bolle rassicuranti si trasformano in muraglie con lame affilate, pronte a sbarrarti la strada e a farti sentire quella diversità che finora non avevi avvertito.

Lo sanno bene Luca Ragazzi e Gustav Hofer autori e registi del documentario Improvvisamente l’inverno scorso, di produzione indipendente, selezionato nella sezione Panorama dello scorso Festival di Berlino, menzione speciale della giuria “Manfred Salzgeber”, dedicata a lungometraggi o documentari particolarmente innovativi.

Il titolo è un omaggio e un riferimento al film di Joseph L. Manckiewicz del 1959, Improvvisamente l’estate scorsa, tratto dalla piece di Tennesse Williams e sceneggiato da Gore Vidal, con le splendide interpretazioni di Liz Taylor, Katherine Hepburn e Montgomery Clift, in cui la censura americana ridusse sullo sfondo la tematica omosessuale che era invece centrale nell’originale. Con grande sagacia, Luca e Gustav, coppia che sta insieme da otto anni, riprendono il titolo del film americano per raccontare, attraverso la loro storia, quello che gli è successo improvvisamente l’inverno scorso, quando un’ondata inaspettata di omofobia ha sconvolto la loro quotidianità: a febbraio del 2007, infatti, dopo mesi di discussioni, il governo Prodi – come da programma – ha presentato una proposta di legge per le unioni civili estesa anche alle coppie omosessuali, intitolata DiCo, che si riferisce ai diritti e doveri dei conviventi. Questa legge, che avrebbe dato all’Italia la possibilità di mettersi al passo con tutti gli altri Stati europei, ad eccezione della Grecia e dell’Austria, riconoscendo e tutelando quella che oggi è una realtà consolidata della nostra società, è fallita miseramente per l’incapacità della nostra classe politica di superare le barriere ideologiche, e a causa dell’opposizione delle gerarchie vaticane che hanno condannato la legge come immorale. L’Italia si è divisa tra chi era a favore e chi no, in una contrapposizione tra guelfi e ghibellini ormai antistorica; una vera e propria offensiva mediatica: le manifestazioni pro e contro DiCo hanno creato un clima di tensione nel Paese, dando vita a manifestazioni di intolleranza e di omofobia fino ad allora impensabili. Luca e Gustav, costretti ad uscire dal loro microcosmo, hanno deciso di iniziare un viaggio in quest’Italia a loro sconosciuta fino ad allora, un’Italia dove i gay possono essere considerati ancora dei diversi, dei malati, assimilabili, in casi estremi, ai pedofili.

I due registi hanno seguito la discussione generale della legge al Senato, hanno intervistato i politici (poveri noi!) di destra e sinistra, hanno seguito le manifestazioni dei ciellini, quelle inquietanti dei seguaci della Militia Christi e di Forza Nuova, il Family Day e il Gay Pride mostrando un’Italia che a molti può risultare sconosciuta, ma che pure esiste, sospesa tra il grottesco e il drammatico. Quello che ne viene fuori è un documentario, con la splendida e quanto mai azzeccata voce narrante di Veronica Pivetti, che ha la forza della filmografia adulta, che non si riduce a una piatta rappresentazione degli eventi, ma si intreccia alla storia d’amore di Luca e Gustav, fino al geniale matrimonio finale. Nonostante l’offensiva mediatica con toni da crociata, la cifra e la forza del documentario sono l’ironia con cui i registi vivono il tutto e, soprattutto, la fresca ingenuità con cui si accostano a persone e situazioni così lontane da loro; soprattutto Gustav, ogni volta, è come se ci riprovasse, come se non perdesse la speranza di ricevere in risposta ai suoi “perché?” delle argomentazioni valide.

Questo film, pur nella semplicità dei mezzi con cui è stato realizzato, ha tuttavia la capacità di fare ciò che il cinema dovrebbe riuscire a fare sempre: emozionare e nello stesso tempo far riflettere. Proprio per questo sorprende che dopo tutto il caos mediatico del Caos Calmo morettiano, questo film, che pure a Berlino c’è stato e ha ricevuto anche una menzione speciale, sia praticamente passato inosservato in tv, a parte qualche sporadica eccezione sul satellite. E soprattutto sorprende che dopo la proiezione berlinese si siano fatti avanti distributori stranieri, ma nessun italiano. Luca e Gustav, tuttavia, non si sono persi d’animo e hanno iniziato un tour in tutta Italia dove il loro documentario verrà proiettato in circoli culturali e festival; lo scorso 14 marzo c’è stata l’anteprima nazionale a Roma, in una sala gremita e con oltre un centinaio di persone che non sono riuscite ad entrare. E’ auspicabile nel frattempo che qualcuno se ne accorga e porti questo film dov’è giusto che stia, nelle sale, per aiutare a far conoscere l’Italia non solo agli stranieri, ma anche agli italiani, come ha scritto il critico de L’Unità Alberto Crespi. In bocca al lupo davvero a questa parte di cinema italiano che sa leggere e riflettere sul nostro presente.

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