Esce nelle sale italiane Thermae Romae, il premiato manga della fumettista Yamazaki Mari (che nel Sol Levante ha venduto più di cinque milioni di copie) adattato per il cinema da Takeuchi Hideki, il quale ne ha fatto una esilarante commedia. Proiettato in prima mondiale nel corso della quattordicesima edizione del Far Est Film Festival di Udine, nel 2012 in Giappone è stato campione d’incassi.

Il film narra le vicende di Lucius Modestus (Abe Hiroshi), uno spaesato architetto dell’antica Roma lasciato a spasso dal committente, che gli preferisce un collega dalle idee meno rigide e conservatrici. Come farà il povero Lucius a sbarcare il lunario? Come riuscirà a celebrare con la sua arte la potenza e la gloria di Roma? Quando tutto sembra andare in malora, ecco che scopre una fonte inaspettata di ispirazione: nel fondo di una vasca alle terme si nasconde un tunnel spazio-temporale che porta a un moderno stabilimento dell’odierno Giappone. Emerso dalle acque colà, tra sguardi increduli e ironici commenti («tutto questo tempo lì sotto?»), al nostro eroe gli anziani smilzi clienti appaiono come «schiavi dalla faccia piatta». E da qui in poi il film insisterà con la domanda: cosa mai potrebbe dare ai Romani la società del XXI secolo? Be’, tanto per cominciare un po’ di delizioso latte al sapore di frutta («così rinfrescante dopo essere stati a lungo in ammollo!») e vibromassaggiatori per addomi scolpiti.

Thermae Romae, ultimo esempio delle scintillanti eccentricità che solo i nipponici sanno regalarci, una bizzarria in cui l’attore principale, Abe Hiroshi, si produce in un race-lifting addirittura credibile, come testimonia proprio Yamazaki Mari nel riferire che la troupe italiana «ha più e più volte ripetuto: “Sembra proprio un romano vero!”».

In effetti, dovendo portare sullo schermo personaggi quali l’Imperatore Adriano (Masachika Ichimura), Commodo (Kazuki Kitamura), il generale Antonino (Kai Shishido), i produttori hanno con intelligenza scritturato attori giapponesi dai tratti Nihonjinbanare (“non nipponici”). Questo permette alla rappresentazione di non scadere in macchietta o fumettone e di accrescere invece la comicità del film, rafforzando al contempo il messaggio «in-acqua-siamo-tutti-fratelli» che esso vuole trasmettere.

Thermae Romae è un film soprattutto per giapponesi, in special modo per i giapponesi delle generazioni più giovani, «abituate ad immergersi in un solitario e antisettico sfarzo» (Mark Schilling The Japan Times) cui intende riproporre la cultura tradizionale del bagno collettivo che, agli occhi dell’architetto pesce-fuor-d’acqua Lucius, recupera tutto il suo splendore. Per questo motivo il film evita saggiamente di mettere in risalto il contrasto tra il “progredito” Giappone e la ”arretratezza” di Roma, resta ancorato al suo esordio in chiave comica e si concentra sulle peripezie di Lucius il perfezionista, uomo probo dagli alti ideali e roso da feroci scrupoli morali nei confronti degli “schiavi dagli occhi allungati”, dai quali prende idee e ispirazioni a man bassa.

Per restare nell’ambito del comico, godibilissimi sono gli intermezzi in cui il tenore Walter Roberts, in frac nero e papillon avorio, al cospetto di una divinità romana accompagna i viaggi stralunanti di Lucius cantando arie verdiane. Altrettanto lo sono le rocambolesche avventure dello scultoreo architetto nel mondo-di-qua, dove non mancherà di mischiarsi un po’ più a fondo con questi schiavi così stupefacenti ma anche prodighi e garbati. E che saranno capaci di ancor più grandi sorprese proprio nel finale.

Grandiosa è la ricostruzione dei luoghi e degli ambienti, grazie all’impiego della computer grafica e alla bravura delle maestranze di Cinecittà, dove il film è stato girato. Senza abbandonarsi allo sciovinismo, è doveroso segnalare il bel lavoro svolto nei teatri di posa di casa nostra, alle prese negli ultimi anni con difficoltà di varia natura.

Tornando al film, si deve segnalare un passaggio dal ritmo più lento dove si è corso il rischio di inciampare nel melodramma un po’ stucchevole. Per fortuna, una serie di trovate in cui prevalgono lo spiazzamento e il non-sense, mescolando l’indole nipponica e lo stile di Mel Brooks, mantengono la traiettoria abbastanza tesa. Come in ogni commedia che si rispetti, non possono mancare qualche tormento d’amore, mai melenso, e un lieto fine a suon di fanfara. In conclusione, Thermae Romae è un film dagli occhi a mandorla che pur parlando essenzialmente nippon, sa ammiccare con modi suadenti al pubblico occidentale e anche, perché no, a quello prevedibilmente scafato che siederà nei cinema della Capitale.

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