Gli orizzonti, per la venticinquenne Lara, cambiano due volte nel giro di pochi mesi. La prima quando scopre di essere incinta, dopo una storia di una notte in discoteca; la seconda quando, a metà della gravidanza, perde il bambino. Am Himmel der Tag (Breaking Horizons) di Pola Beck, in concorso al TFF, è la storia della doppia svolta nella vita della protagonista (Aylin Tezel): brillante studentessa di architettura, di estrazione borghese, un rapporto viscerale con la sua collega e amica Nora, Lara sembra pervasa da una vaga insoddisfazione e da un senso di indeterminatezza nei confronti del futuro. La gravidanza è l’occasione per cambiare radicalmente vita: decide di mollare gli studi e tenere il bambino, si dedica con entusiasmo all’avventura della incombente maternità, nonostante i dissapori in famiglia e il progressivo allontanamento, per divergenza di interessi e priorità, da Nora. Ma un incidente è in agguato e la ragazza perde il feto. A questo punto però è troppo difficile ricominciare nuovamente da capo, Lara non vuole deludere ancora una volta la madre che la voleva “in carriera”, il professore che stravedeva per lei (e che intanto ha una storia con l’amica), non ha la forza per riprogrammare il futuro, e inizia quindi a mentire e a fingere ancora la gravidanza, fino al precipitare degli eventi.

La regista tedesca Pola Beck, al primo lungometraggio, realizza un ritratto di giovane donna alle soglie della maturità. Un periodo ancora indefinito e ricco di opportunità, con tutta la vita davanti, ma in cui si inizia a percepire il peso delle responsabilità, l’influenza di ogni possibile scelta sul futuro. Lo fa con una storia a tratti cupa, sembra quasi compiacersi nel disegnare per la sua protagonista un destino che le si accanisce contro. Per Lara è sempre il momento sbagliato, la sua vita scorre all’insegna delle sliding doors, bivi in cui imbocca puntualmente la peggior direzione possibile. Se fosse rimasta in casa a studiare anziché uscire, se in discoteca avesse continuato a parlare col giovane professore anziché allontanarsi (momento determinante anche per l’inizio della relazione tra l’insegnante e Nora, fonte di rancori e gelosie tra le due inseparabili amiche), se avesse cercato la compagnia del vicino di casa quando questi era in crisi con la fidanzata e non nel preciso momento della riappacificazione… Va invece incontro, si diceva, a un destino beffardo e ostinato, all’inizio con la forza e l’ottimismo di chi crede di dominarlo, poi sempre più scoraggiata, fino al punto di non-ritorno e a una conclusione che suggerisce l’ennesima ripartenza da zero.

Se l’anno scorso, sempre qui a Torino, avevamo assistito con 17 filles a una storia di incoscienza e solidarietà femminile, stavolta il punto di vista è leggermente diverso. Lara potrebbe essere una sorella maggiore di quelle adolescenti francesi, per lei la gravidanza non è un gesto di ribellione (né tantomeno viene cercata di proposito), ma sono simili la sfrontatezza nel gestire la situazione, lo spirito e la forza di volontà. Nel film delle sorelle Coulin ci fermiamo al momento delle nascite, non conosciamo il futuro dei bambini e la vita delle neo-mamme; stavolta, invece, assistiamo al crollo di un mondo, alla fine del progetto di vita di Lara. In un momento di crisi e precarietà (non solo) giovanile, è naturale provare una particolare empatia con chi è costretto continuamente a reinventarsi, con chi incappa in porte chiuse e ostacoli di ogni tipo, ed è forse per questo che Pola Beck riesce, con una storia intima e privata, senza pretese generazionali, a rappresentare fedelmente uno scorcio dei nostri tempi.

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