Cina, Hong Kong, Taiwan, Corea del Sud, Corea del Nord e Giappone condividono una stessa eredità culturale. La storia di questa regione del lontano Oriente è fitta di scambi, di commerci, di lotte politiche e di guerre. Le tradizioni e le radici comuni dell'area sono le discipline e le filosofie del Confucianesimo, del Buddhismo e del Taoismo, continuamente influenzate le une con le altre poiché non esistono religioni né filosofie pure.

Il Confucianesimo ha contribuito all'affermazione di una disciplina molto severa, basata su regole fortemente autoritarie, secondo le quali la società è organizzata in una rigida gerarchia all'apice della quale vi è l'imperatore: da esso derivano tutti i diritti e i privilegi attribuiti alle diverse classi sociali. Tramandati nei secoli, gli insegnamenti confuciani perpetuano l'autorità dei genitori sui figli, degli anziani sui giovani, degli uomini sulle donne. La via confuciana al miglioramento predica il buon governo e la buona istruzione; i precetti confuciani non sono mai stati abbandonati neanche dai governi comunisti di Cina e Corea del Nord.

Il Buddhismo è diffuso nell'area nella forma del Buddhismo Mahayana e da questa corrente, nel corso dei secoli, sono originate altre correnti filosofiche tra le quali, intorno al XII secolo d.C., il Buddhismo Zen (in giapponese: "meditazione"). Il Buddhismo osserva il precetto di non uccidere nessun essere vivente (non violenza), di non rubare, di non abbandonarsi alla lussuria, di non mentire o ingannare il prossimo, di non fare uso di sostanze inebrianti.

Il Taosimo è la filosofia dell'equilibrio come armonia tra forze in tensione che permea molte culture orientali e convive con il confucianesimo e il buddhismo. Il concetto di Yin e Yang nel taoismo, ovvero convivenza e complementarità dei due Grandi Poteri creatori, origina dall'antica filosofia cinese, probabilmente intorno al 600 a.c. Nel Taoismo tradizionale cosmologia, religione e filosofia sono intimamente connesse: il suo simbolo è una circonferenza in cui i due principi si oppongo e si completano e insieme danno vita a un movimento continuo nell'infinito, con le due parti che si fondono in una. La bandiera della Repubblica Democratica della Corea del Sud riprende questa icona: lo sfondo bianco rappresenta la pace, il cerchio rosso e blu tiene in perfetto equilibrio sia il blu, Eum (Yin), che rappresenta l'elemento passivo, sia il rosso, Yang, che sta per quelli attivi, positivi. Ai quattro angoli sono raffigurati quattro trigrammi derivanti dal Libro dei Mutamenti: le combinazioni, riprese nella bandiera, indicano il Cielo, l'Acqua, la Terra e il Fuoco.

 Il Giappone rappresenta il massimo esempio di sopravvivenza della tradizione nella modernità, ma in tutta la regione dell'est asiatico le filosofie originarie hanno attraversato due secoli di ingerenze occidentali mantenendo saldo il ruolo di radice culturale. Gli elementi naturali sono diffusamente riconosciuti nella loro carica simbolica così che la natura non viene trasposta in immagini solo per le sue qualità estetiche. Esemplare in questo, tra i registi più noti in Occidente, il coreano Kim Ki-duk i cui film, almeno fino a Time, abbondano di rinvii simbolici: terra, acqua, aria, fuoco, piccoli animali e personaggi sovrannaturali sono usati per veicolare messaggi propri delle discipline orientali. Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera è la sua pellicola più esplicita e complessa, capace di contenere simbolismi religiosi passibili di molteplici letture. E ancora, le inquadrature dall'alto in campo lungo o lunghissimo: questa cifra stilistica deriva dalle angolazioni classiche della pittura cinese che a sua volta usa le prospettive aeree per riprodurre uno sguardo divino. Kim prende probabilmente ispirazione dal veterano dei registi coreani, Im Kwon-taek: Ebbro di donne e di pittura, uno dei rari film del maestro distribuiti anche in Italia, racconta la storia del pittore coreano Jang Seung-up e il regista usa ripetutamente la prospettiva aerea immergendo il personaggio nel paesaggio inabitato, ripreso nelle varie stagioni. Il rinvio alla pittura è duplice poiché il paesaggio nella fotografia del film svolge la stessa funzione svolta dal bianco sulle tele del pittore: uno spazio vuoto, un vuoto primordiale senza cielo e senza terra, senza una linea dell'orizzonte e dal quale emerge solo l'idea.

Zhang Yimou, regista della quinta generazione cinese, usa inquadrature simili in La strada verso casa dove immagini di spazi aperti ospitano la sproporzionata figura dell'esile ma determinata protagonista. È un film che guarda in maniera fin troppo sentimentale a un passato tanto prossimo quanto perduto, ma che cita nel suo inizio il Titanic di Cameron (si vedono le locandine del film affisse ad una parete) per confrontarsi con questo sia sul piano del genere cinematografico, il melodramma, sia sul piano simbolico di sfida portata dall'uomo alla sublime mostruosità della natura. I cambiamenti generati nella Repubblica Popolare Cinese dalle aperture economiche dei primi anni Ottanta, con milioni di contadini che abbandonano le campagne per trasferirsi in aree industriali, renderanno impossibile ai registi della generazione successiva di guardare con nostalgia al passato: l'urgenza e la rapidità del cambiamento non lasciano spazio al romanticismo. Adorato dalla attuale direzione della Mostra, Jia Zhangke è il regista che più di altri marca strettissimo gli effetti collaterali dello sviluppo economico. Dong e Still life sono due lavori del 2006 che denunciano l'assurdità della costruzione della diga delle Tre Gole con la conseguente scomparsa della città di Fengjie, antica di 2000 anni, e che soprattutto testimoniano un mutato rapporto tra uomo e territorio. La famosa scena del monumento lanciato in orbita come un missile apre a diverse interpretazioni, ma senza dubbio segna l'abbandono di una visione religiosa e sacrale della terra che al concetto di una natura viva, ciclica e fluida sostituisce il concetto di natura morta (still life).

Invita a imboccare il percorso inverso la regista giapponese Naomi Kawase che con il recente The mourning forest (copruduzione francese premiata allo scorso festival di Cannes) forza i propri personaggi al ritorno ad un rapporto intimo con gli elementi. Prodotto anomalo per un'industria commercialmente basata sulla produzione di anime, horror e Godzilla movie (oltre settecento film prodotti nel 2006), Mogari no mori gioca sull'opposizione tra natura “educata” e natura selvaggia come metafora della emozioni controllate del vivere quotidiano opposte alle emozioni sconosciute e incontrollabili delle situazioni estreme.

Diverso il discorso per le cinematografie di Hong Kong e Taiwan, territori che per motivi economici e politici hanno assorbito più di Cina, Giappone e Corea lo stile di vita occidentale, mentre per motivi geografici i contenuti dei film hanno una maggiore dialettica metropolitana. Nei prodotti di queste industrie, la natura viene sempre evocata come una mancanza: ne Il gusto dell'anguria di Tsai Ming-Liang la trama procede dall'assunto che sull'isola di Taiwan non ci sia più acqua (madre di tutti gli elementi) sostituita da un surrogato, l'anguria, così come per i protagonisti la pornografia è il surrogato dell'amore. In Millennium Mambo
di Hou Hsiao-Hsien la protagonista deve trasferirsi in Giappone per incontrare il piacere e la gioia della neve. Allo stesso modo nel cinema di Hong Kong, notoriamente sbilanciato verso una concezione commerciale della spettacolarità, si ricordano gli esempi di Wong Kar-wai, che porta in Argentina i protagonisti di Happy togheter per metterli davanti alle maestose cascate di Iguazu, e di Clara Law che nel meno noto La dea del '67 porta in Australia il suo personaggio (un hacker giapponese) per metterlo davanti a paesaggi così estranei che il verde dell'erba, l'azzurro del cielo o il giallo del deserto sono acidi al punto da risultare quasi inguardabili.

Pochi esempi per comprendere come le immagini di alcuni autori orientali lasciano intuire una concezione analitica della natura, scomposta nelle sue parti elementari, nei suoi meccanismi segreti; e come alcuni simboli trovino ancora spazio e significato nei racconti del cinema contemporaneo. Perfino nella serie dei film epici de La tigre e il dragone, Hero, La foresta dei pugnali volanti e altri, la natura non è mai vista come una frontiera da conquistare, un limite da varcare, un'entità ribelle da dominare con la supremazia tecnica dell'uomo.  

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One thought on “Speciale Uomo e Natura/Oriente: la persistenza della tradizione nel cinema orientale

  1. Un tema molto interessante! Senza dubbio ci sono delle differenze fondamentali tra il cinema orientale e quello occidentale riguardo la scenografia ed i soluzioni estetiche basati sulla percezione dell’ambiente sociale e naturale. Ma non è una contraddizione quando parli del “concetto della natura viva e fluida” e dopo dici che “le immagini di alcuni autori orientali lasciano intuire una concezione analitica della natura”? Direi che una natura capita come ciclica è difficile da tagliare, analizzare, capire. Mi chiedo che cosa intendi con “concezione analitica”?

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