L’ultimo nostro articolo in Pp segna una data: il 12 giugno, giorno delle elezioni presidenziali in Iran, da allora in quel paese tutto è cambiato. Da quanto scriveva Maria Giovanna Vagenas del film iraniano visto a Cannes intitolato No one knows about persian cats – traducibile con “Nessuno sa dei gatti persiani”, il riferimento è ad una legge che vieta di portare cani e gatti domestici fuori casa – si potevano intravvedere le tensioni che agitano oggi Teheran. Gli “animali” del docufiction, realizzato da Bahman Ghobadi, sono in realtà i ragazzi iraniani che per suonare il rock, l’heavy metal, il rap devono nascondersi perché la repubblica islamica li ritiene generi musicali sovversivi. Insomma, uno dei classici ruoli del cinema, quello di essere testimone e sintomo – per vie traverse (la passione per la musica) – di quanto accade in un determinato momento è stato assolto e puntualmente registrato dalla nostra rivista.

Purtroppo in queste ore poco sappiamo di come il regime si stia comportando nei confronti di quei registi che in passato e nel presente hanno fatto con coscienza il loro lavoro, cercando di superare i limiti della censura. Sappiamo di quanto accaduto ad Amin Maher, il protagonista di Dieci di Abbas Kiarostami, in quel film del 2002 aveva 10 anni e accanto alla madre, l’attrice e regista Mania Akbari, girava in auto per le strade della capitale iraniana alla scoperta della “città delle donne”. Adesso Amin ne ha compiuti diciassette ed è stato arrestato e detenuto per una notte solo perché sostenitore di Mir Hossein Mussavi. A raccontare l’odissea al giornale riformista Etemad Melli la stessa Akbari che dice: “Mio figlio è stato picchiato durante la detenzione ed ha subito danni fisici e mentali”. La donna che è anche regista – a Venezia nel 2004 è stata premiata come autrice del miglior film digitale 20 Angosht  (Le venti dita) – rifiuta la violenza come metodo di lotta perché “non porta mai alla vittoria, la libertà si conquista con l’esercizio della democrazia e del rispetto delle idee contrarie alle proprie”.

Una volta saputo dell’arresto del figlio, lo scorso martedì sera,  ha iniziato una ricerca per tutta la città: “Le scene che ho visto non possono essere rese al cinema. Ho sentito le ambulanze con le sirene spiegate, centinaia di genitori che gridavano dietro le porte chiuse delle stazioni di polizia per avere notizie dei figli, le voci dei ragazzi. La città era in preda al dolore e alla rabbia”. Un’esperienza per il figlio adolescente traumatica. Grazie all’aiuto di amici, artisti e alcuni poliziotti Akbari è riuscita a far rilasciare il mattino dopo Amin. Della condizione degli artisti iraniani, in particolare di chi fa cinema, se ne potrà parlare al Film Festival Senza Frontiere – “Without Borders”, a Roma dall’1 al 3 luglio alla Casa del Cinema. Il secondo giorno della rassegna sarà dedicato all’Iran, con le opere di quattro registi. Ci sarà Mohammad Rasoulof per presentare Head Win che parla di censura nello stato islamico. L’artista visuale Shahram Karimi proporrà una video performance sul Muro di Berlino. La giovane regista Sadaf Foroughi ci sarà col cortometraggio Feminin – Masculin, su una donna autista di autobus a Teheran. In programma anche Tooba di Shirin Heshat, un video che esplora i temi dell’immigrazione e della posizione delle donne nella società contemporanea, attraverso la metafora dell’albero sacro nominato nel Corano.

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