Algeria, regione degli altipiani:  perso in mezzo ad un paesaggio brullo ed innevato un giovane uomo, poco più che un ragazzo, fugge a rotta di collo. Rachid, protagonista di Le Repenti di Merzak Allouache é, come indica il titolo del film, un estremista islamico pentito.

L’origine del film, ha spiegato il regista, risale al 1990 quando, dopo quasi un decennio di assenza forzata, è finalmente ritornato in Algeria. Agli anni di cupo terrore si era venuto a sostituire un clima di ottimismo forzato e di irreale euforia incoraggiato principalmente da una nuova strategia statale, la cosiddetta “politica della concordia civile”. Questa legge proclamava l’amnistia nei confronti dei terroristi islamici permettendo loro di ritornare impuniti in seno alla società civile a patto di consegnare le armi e di farsi registrare dalla polizia. Scopo dello stato era quello di porre fine alla violenza ed ai massacri da loro perpetrati.

La popolazione algerina, ha detto ancora Allouache, ha scoperto improvvisamente un nuovo termine: il termine di pentito. Ma com’era possibile immaginare che, da un giorno all’altro, i famigliari delle vittime sarebbero stati pronti a perdonare i loro presunti assassini e ad accettare di vederli vivere impunemente?

Proprio in quel periodo Merzak Allouache aveva letto su un giornale un trafiletto in cui un uomo raccontava di essere stato contattato da un pentito pronto a proporgli, in cambio di una forte ricompensa, un macabro scambio.

Nel corso degli anni il regista non ha mai smesso di domandarsi cosa fosse poi successo.  In Le Repenti ha cercato di immaginarsi il seguito di questa storia ambientandola nell’Algeria di oggi dove, nonostante dei nuclei terroristi continuino ancora ad operare, la gente sembra affetta da una strana forma di amnesia collettiva.

Proiettando questo clima di violenza sotterranea e di tensione sorda nella struttura della sua sceneggiatura il regista mette in scena una vicenda oscura e segreta, traumatica e violenta con una lucidità ed una sobrietà degne di nota costruendo, passo dopo passo, una storia agghiacciante che avanza, in maniera ineluttabile, verso un  tragico finale.

La trama è costruita in modo coerente sull’opacità del suo protagonista, Rachid. Lo sguardo costantemente impaurito ed attonito del ragazzo, il suo essere scialbo, la sua apparente inoffensività ce lo fanno sentire più come una vittima ingenua delle circostanze e della manipolazione degli estremisti che come una figura odiosa.

Mentre lui stesso afferma di non avere mai ucciso nessuno, la notizia del suo arrivo al villaggio paterno scatena l’indignazione dei famigliari delle vittime di un massacro accaduto nella zona. “Ti ho visto, eri lì anche tu!” gli urla fuori di sé un uomo che fa irruzione nella casa dei suoi genitori. Rachid continua a proclamarsi innocente. Nonostante la sua calma esteriore, il ragazzo é febbrile, ansioso, si sente costantemente braccato. Dietro al suo fare mite s’intuisce un istinto animale pronto a guizzare e, se necessario, ad uccidere.

Merzak Allouache segue l’arrivo di Rachid nel villaggio e trascrive con un tocco documentario l’accoglienza commossa e gioiosa dei suoi genitori. Una piccola festa di benvenuto è organizzata nel cortile dimesso della casa; seduti in cerchio i suoi parenti si scambiamo qualche parola ma l’atmosfera è grave. Deciso a cambiare vita Rachid partirà subito dopo per la città; andrà a costituirsi dalla polizia e a consegnare la sua arma.

L’incontro fra Rachid ed il poliziotto è filmato con un tono sobrio e con un certo distacco emotivo. Il poliziotto gli offre un lavoro e della protezione ma si aspetta in cambio dei nomi. Rachid continua a sostenere di non sapere nulla. Inizierà a lavorare come garzone in un caffè. L’accoglienza che gli riserva il vecchio padrone non è certamente calorosa, l’uomo lo tratta con giustizia ma lo tiene a distanza e diffida di lui. Rachid cerca di seguire alla meglio i suoi ordini; accetta di buon grado di sistemarsi nello scantinato del negozio, di cambiare vestiti, di tagliarsi barba e capelli.

A qualche metro di distanza dal caffè dove lavora Rachid c’è una farmacia. Lakhdar, il farmacista, un uomo sulla trentina cerca di affrontare, alla meglio la penuria di medicinali. Lakhdar vive solo; di sera, sulla via del ritorno, lo vediamo comprare del vino francese di contrabbando. Nel suo appartamento regna il disordine; piatti di cibo abbandonati, carta di giornale sul tavolo della cucina, il lavandino pieno zeppo. L’arredamento è più che sommario; un materasso sul suolo, un pezzo di stoffa appeso provvisoriamente di traverso per fare da tenda. L’uomo stappa una bottiglia mentre da una stanza attigua la televisione trasmette un programma in cinese.

Un giorno Rachid va a comprare un’aspirina e riconosce Lakhdar.  D’ora in avanti la sceneggiatura avanzerà a piccoli passi preservando costantemente una parte d’intelligibilità e di mistero. Rachid sembra avere un piano in mente. Il giorno dopo telefona al farmacista proponendogli un mercato.

In seguito a quest’evento un terzo personaggio entra in scena: Djamila, una giovane donna medico che Lakhdar invita con urgenza a raggiungerlo. Mentre Djamila percorre in macchina un lunghissimo tragitto, Lakhdar cerca in fretta e furia di mettere un po’ d’ordine in casa. Dalle reazioni della donna quando entra nell’appartamento capiamo che i due vi abitavano un tempo insieme ed erano una coppia. Per accenni ci rendiamo conto che sono i genitori di una bimba rapita dagli estremisti. Rachid incontererà Lakhdar e Djamila per fornire loro delle informazioni importanti sulla bimba. Ancora una volta non verremo a sapere esattamente di cosa si tratti.

I tre si imbarcano in un vero e proprio viaggio nel cuore delle tenebre.

Le repenti ci mostra un paese in uno stato post-traumatico, paralizzato, dove tutti avanzano per forza d’inerzia. Nonostante la virulenza del soggetto, la regia opta per un tono moderato e pacato. Allouache osserva i suoi personaggi con cura, ci racconta la loro pena, la loro solitudine, la loro paura e le loro speranze attraverso una descrizione senza pathos dei loro gesti quotidiani; una cena frugale, uno sguardo fugace alle ragazze che passano per strada o verso lo schermo del televisore, una sigaretta fumata lontano dagli occhi degli altri. L’incisività del proposito è rafforzata dalle belle interpretazioni dei tre protagonisti che ci fanno sentire tutto il peso della loro sofferenza senza mai ricorrere al melodramma.

L’uso dei dialoghi è parco, la parola viene utilizzata solo per garantire il minimo necessario nelle relazioni di scambio. Le repenti è un film sul non-detto, sull’ipocrisia degli uni, la manipolazione e la malafede degli altri e sul dolore che si allarga come un’enorme chiazza buia su tutta una società. Preciso, sobrio e rigoroso nello stile, Merzak Allouache punta tutto sul suo soggetto e colpisce nel segno.

Il film, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs, è stato ricompensato con
il premio  Label Europa Cinemas.

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