[**] – Superpoteri mentali, minacciose agenzie governative (le Divisions), giovani sbandati dal cuore d’oro nelle cui mani è racchiuso il destino del mondo, inseguimenti, botte e poi altri inseguimenti e altre botte. La vicenda prende spunto da esperimenti reali, portati avanti in passato da diversi governi, per un possibile impiego dei poteri della mente a fini militari e strategici. Ma in Push c’è poco di nuovo sotto al sole e la pellicola scorre fluida solo per mezz’ora. Poi tutto comincia a incasinarsi: la ragazzina veggente Cassie (Dakota Fanning, l’aria consueta di adulta travestita da bambina), il giovanotto telecinetico Nick (Chris Evans) e l’infelice pusher – leggi: telepate – Kira (Camilla Belle, perennemente imbronciata) si coalizzano per far fronte alla Division guidata dal re dei manipolatori mentali Carver (Djimon Hounsou) e, già che ci siamo, anche alla mafia cinese. Ma Kira è estremamente pericolosa, perché le sue capacità di manipolare la mente degli altri sono state potenziate da un siero governativo che può cambiare il mondo…

L’obiettivo, comunque, si confonde ben presto nella “caciara” generale, fra vagonate di tipi strampalati dai bizzarri superpoteri, scontri coreografati a caso e sganassoni telepatici (comunque le fasi più divertenti del film). Finché, in zona sbadiglio, la sensazione di essere piombati in un prodotto seriale si fa forte: molto è ricalcato da Heroes, Alias e compagni, e comunque dagli X–Men in poi scovare superpoteri originali rischia di sfociare nel ridicolo (i segugi umani che sniffano spazzolini per rintracciare le persone lasciano spazio a più di un’ironia…).

 McGuigan, che pure possiede una certa ricercatezza dell’immagine e un qualche sense of humour, non sfrutta a dovere le location e trascura le potenzialità della storia: Hong Kong è uno sfondo – fra pittoreschi mercati del pesce e patinati night club al neon – e scivolano via le generiche osservazioni sulla discriminazione dei “diversi”. Il discorso sulla pericolosità della manipolazione mentale, poi, è appena accennato: come distinguo i miei ricordi reali da quelli installati artificialmente da un pusher? La sceneggiatura di Bouria ci si accosta solo nel finale, ma evita di approfondire le inquietanti implicazioni. Forse è fuori luogo chiedere a un prodotto di genere di affondare le mani in questioni così delicate, ma è lecito pretendere che non perda pezzi per strada e tappi i buchi di sceneggiatura. Perché, come tutti gli action–movie di ultima generazione, Push si avvantaggerebbe di qualche sana sforbiciata nel secondo atto; e invece il finale, implacabile, lascia presagire un nuovo capitolo.

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