Dopo le scene delle navi travolte dalle tempeste nell’oceano, una cosa che al cinema ci atterrisce sempre sono le lunghe sequenze in case completamente al buio.

La Notte del giudizio in questo senso è girato quasi interamente in condizioni di fitta e opprimente oscurità. Non sappiamo se con la luce accesa il nuovo successo al botteghino Usa di Ethan Hawke avrebbe mai potuto rendere meglio. Di sicuro – al confronto – anche un’ipotetica versione cartonata o in Power Point della peggior trama di Carpenter su Sorrisi&Canzoni, non avrebbe sfigurato in ritmo e profondità.

Nel futuro poco plausibile di DeMonaco, l’umanità riesce a sconfiggere crimine e la violenza. L’unica valvola di sfogo è proprio la cosiddetta Notte del giudizio, poche ore una volta l’anno in cui TUTTO è consentito. Non sveleremo come si arriva alla resa dei conti definitiva, ma per l’arrendevolezza e la meccanicità di come si corre precipitosamente verso i primi scontri corpo a corpo, viene quasi da pensare ad un certo tipo di concisione strutturale tipica da Youporn.

Più per il taglio patinato con cui si cerca ostinatamente di banalizzare il senso d’assedio emotivo che poteva caratterizzare Fuga da New York o L’ultimo uomo della terra di Ragona infatti, in Purge colpisce il senso di inerzia e passività con cui si danno come per scontati gli sviluppi di alcune degenerazioni sociali.

Come se fosse quasi la rappresentazione visiva di alcune considerazione dell’ultimo libro di Massimo Recalcati, La Notte del giudizio sembra una specie di aggiornamento in tempo reale delle dimensioni che sta assumendo un certo tipo di violenza erratica negli Stati uniti. In un paese che per un verso afferma il diritto di libertà e la tutela della vita, mentre per l’altro arma indiscriminatamente chiunque, DeMonaco offre una prospettiva familiare di totale assefuazione e prossimità all’ipotesi dell’omicidio.

L’assoluta mancanza di regole di gruppo, sia tra la banda dei teppisti che tra il buon Ethan Hawke e i suoi figli, esalta più o meno inconsapevolmente l’idea di violenza scissa da ogni tipo di causa e senso.

Il destino imprecisato a cui appare indirizzato il ragazzo di colore del nuovo sottoproletariato urbano formalizza l’allontanamento definitivo dalla percezione di autorevolezza simbolica di tutto il Luogo de l’Altro. Persa la credibilità e la funzione normativa del confine che ci separa dalla libertà del prossimo, il nostro tempo diventa il tempo – come nel film – in cui l’eccesso non può essere governato. Proprio per questo la violenza e la serialità delle vittime ne La Notte del Giudizio acquisisce una connotazione edonistica e quasi consumistica che non può non disturbare. Tanto più che a livello di direzione filmica la cosa è del tutto inconsapevole, visto che il regista pare solo intenzionato a riprendere una versione Fashion di Carpenter.

Dopo la scheggia impazzita di Day Breakers Ethan Hawke fa quindi un passo indietro nella sua personale incursione nella fantascienza, ma riprende – quantomeno – quel tipo di fragilità e inconsistenza che lo aveva fortemente caratterizzato in Onora il padre e la madre.

Campione d’incassi in Usa, il film già conta di un sequel in preparazione. Noi però la prossima volta non aspetteremo l’alba seduti svegli.

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