Presentato nella Settimana della critica, Pranzo di ferragosto (vincitore del Premio De Laurentiis Opera prima) è diventato un vero caso all’ultimo festival di Venezia, l’unico per il quale sia stata organizzata una proiezione straordinaria. Ha avuto l’occhio lungo Matteo Garrone che ha deciso di produrre il film di uno dei suoi più fidati sceneggiatori fin dai tempi di Estate Romana, quel Gianni Di Gregorio che ha saputo costruire un film godibile e apprezzatissimo da critica e pubblico, forse anche perché, finalmente, dopo tutte le tragedie dei film italiani in concorso, ci troviamo di fronte a un film leggero, ma non banale, in cui si ride, e tanto. E stupisce che tanta leggerezza provenga dalle quattro pimpanti vecchiette protagoniste che, manco a dirlo, sfilando sul red carpet sono state più ammirate dei divi hollywoodiani (quest’anno in vera penuria). Partendo da un’idea semplice, e scritta benissimo, il neoregista ha preso spunto da una vicenda semi-autobiografica per dare vita ad una commedia nella quale, tra un’esilarante risata e l’altra, non manca di far riflettere sul delicato tema della vecchiaia fatta di solitudini, ma anche di inaspettata solidarietà e spirito di gruppo. Sullo sfondo la Roma deserta di Ferragosto, colta nei suoi angoli più popolari e suggestivi, una Roma che con la sua desolazione estiva, da un lato, fa da cassa di risonanza alla solitudine delle protagoniste, dall’altro contrasta proprio con la loro energia che irrompe nonostante l’età e gli acciacchi.

Gianni, scapolo, vive con l’anziana e vispa madre a cui si dedica con totale dedizione; a ferragosto per una fortuita serie di coincidenze la sua casa sarà invasa da altre tre simpatiche vecchiette, mollate lì da familiari troppo presi dalla propria vita. Gianni si troverà così costretto a gestire un gruppo molto poco disciplinato, tra rivalità, amicizie, simpatie e soprattutto tanta voglia di vivere, di una vitalità contagiosa e irresistibile. Per la scelta delle attrici il regista ha dichiarato che “dopo aver incontrato delle professioniste, ho scelto delle signore che non avevano mai recitato, prive di vizi formali, in base alla forza della loro personalità. Durante le riprese mi hanno travolto, la storia cambiava in base ai loro umori ma l’apporto, in termini di spontaneità e verità, è stato determinante. Alcune riprese le ho addirittura rubate”. Nel film si avverte la mancanza di un copione rigido, il che contribuisce ad accrescere la freschezza di un prodotto cinematografico controcorrente che ha avuto il coraggio di portare alla ribalta un tema, quello della vecchiaia, abbastanza ignorato dal panorama cinematografico, soprattutto quello italiano, popolato per lo più da teenager alle prese con problemi di cuore o trentenni borghesi in crisi d’identità.

Uno dei maggiori pregi del film è sicuramente la sua essenzialità, il suo rimanere negli argini, sia nella sceneggiatura, priva di sbavature, quanto nei tempi: se fosse durato più dei suoi settantacinque minuti forse avrebbe iniziato a scricchiolare. L’augurio è che Pranzo di ferragosto abbia aperto una via, dimostrando che quando ci sono buone idee non c’è bisogno nè di grandi nomi nè di storie troppo complicate per fare del cinema. Un bel cinema.

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