di Chiara Palmisani/ C’è una terra, degli uomini in guerra per il suo utilizzo, c’è un amore indissolubile, c’è il sogno di un mondo migliore ma anche il bisogno di una vita migliore. C’è il rapporto madri – figlƏ, ci sono contrapposte visioni sul mondo e contrapposte modalità di rapportarsi alla natura, c’è il rapporto con la legge, l’amicizia e la diversità. C’è questo e molto altro nell’ultimo film di Rodrigo Sorogoyen, As Bestas, vincitore di ben 9 premi Goya.

La prima scena che vediamo è un rallenty su quella che dovrebbe essere un’usanza “barbara”, la lotta tra uomini e cavalli per l’immobilizzazione degli animali da parte degli “aloitadores”, al fine di radere la loro criniera e marchiarli. In realtà, quello che vediamo nello schermo è una vera e propria danza esteticamente ipnotica. E in questa scena, che, in modo simile ma diverso, poi ritornerà nel punto di climax del film, c’è un anticipo di tutta la poetica del film. E in questa scena irrompe già in noi la domanda che ci accompagnerà per tutto il film e che continuerà a risuonarci nella testa anche una volta a casa:  “chi sono le bestie?” Per tutto il film, lƏ spettatore/spettatrice non farà che provare un senso di spaesamento e non potrà che sentirsi preda di un enorme dubbio: quello che sta vedendo è giusto o sbagliato, vero o falso, bello o brutto? Ed è così che ci si sente ad andare a vedere As Bestas: che le proprie lenti sul mondo sono sporche e che forse vanno cambiate.

Con questo film, Sorogoyen riesce a farci perdere ogni certezza, anzi fa di più, ci costringe a chiederci se questo sguardo dicotomico sulle cose non sia solo inefficace ma anche pericoloso. Così come è pericoloso semplificare la realtà umana, la realtà dello stare insieme, di essere comunità e di pensare di potersi inserire in una comunità “tradizionale” come quella della Galizia rurale, da straniero, borghese e benestante, con il sogno di coltivare la terra e ristrutturare case di pietra abbandonate. Questo forse è quello che ingenuamente (presuntuosamente/ostinatamente?) vorrebbe fare Antoine (Denis Ménochet), il protagonista del film, che si trasferisce a vivere in un villaggio remoto con la moglie Olga (Marina Fois), per dedicarsi all’agricoltura e a recuperare le vecchie case del luogo (con la speranza di un ripopolamento).  La gente del posto però vorrebbe vendere la propria terra alla compagnia energetica norvegese che intende costruire lì un parco eolico. Antoine, trasferendosi lì, acquisisce lo stesso diritto di voto, da esercitare per autorizzare il progetto eolico, che hanno le persone che vivono lì da sempre e decide di opporsi alla “svendita” della terra alla società di energia rinnovabile. Così facendo, Antoine diventa l’impedimento vivente per le persone del posto all’affrancamento da quella terra che per loro non è che motivo di fatica e povertà. Diventa così ospite non gradito. As bestas parla di quello che potrebbe essere un tema parecchio abusato, la guerra degli uomini per una terra, ma lo fa facendo anche parlare le donne e, anzi, aprendo, grazie a un tentativo di alleanza tra donne, uno spiraglio di luce sul possibile superamento di una guerra maschile (attraverso l’offerta di dialogo che Olga offre alla madre dei vicini/nemici).

Nel raccontare questa storia, Sorogoyen, con l’uso magistrale del grandangolo e dei primissimi piani, ci spiazza in ogni istante del film, con scene ad altissima tensione che sembrano preludere alla catastrofe imminente. Ma non è la tensione fine a se stessa che interessa il regista, la tensione è un mezzo per mantenerci vigili, per poterci chiedere ancora e ancora “cos’è che sta accadendo”. Tante sono anche le scene di bellezza e intimità, così come quelle di durezza e claustrofobia. Così come nella vita, nel linguaggio di Sorogoyen troviamo tutto. A volte ci sembra un film politico, sull’ecologia, sulle differenze di classe, a tratti psicologico, sui sentimenti e le scelte, a tratti antropologico e poi, a tratti dimentichiamo persino che è un film.  A tratti ci sembra di essere in un film di Rohmer a volte in uno di Hitchcock, molte volte vediamo una cifra nuova, la cifra di Sorogoyen.

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