[**12] – La nonna cammina di fretta in mezzo a ulivi, grilli e casolari abbandonati e arsi dal sole: è vestita da sposa e quella che mette in scena è la fuga dal suo matrimonio. Questa è visivamente la scena più bella del film, la scena iniziale.

Ma siamo a cinquant’anni prima. Cinquant’anni dopo sono tutti riuniti in famiglia, la stessa che la nonna – garante della storia e delle motivazioni – ha creato con quel matrimonio al quale poi era ritornata, malgrado lei. La famiglia in questione è famiglia del sud, proprietaria di un pastificio a Lecce, colorita da vari personaggi – ben caratterizzati –  e da un padre molto tradizionalista. E il punto però è proprio che  in quella famiglia c’è un segreto – invece rivoluzionario – che si deve dire. O, forse, due. Ma fatto sta che alla fine se ne dice uno solo e, viste le conseguenze,  verrebbe da dire: meglio così perché la metà bastava. Ad essere coinvolti in questi segreti sono i due fratelli: Scamarcio e Preziosi (quanti primi piani di occhi blu!).

Il momento della rivelazione, attorno ad una colorata tavola, è giocato con false partenze e barzellette interrotte. Ma alla fine il dunque arriva e il padre reagisce male, ma proprio male; talmente male che, durante la conferenza stampa del film a Torino, una giornalista ha detto di trovare il tutto un po’ anacronistico, visti i tempi. E le risposte sono state:
Scamarcio: “ voi fate sempre questo errore, ma un film non è un trattato sociologico.”
Ozpetek: “ ma scusi ma lei non li legge i giornali?… che ogni giorno se ne sente qualcuna nuova circa le violenze sugli omosessuali?”
Curioso che abbiano affermato esattamente il contrario.

Nel complesso il film è ben riuscito, ha un buon ritmo, fa ridere spesso ma, per quanto si propenda per la risposta di Scamarcio, qualche taglio andava fatto per alleggerire la cosa e forse anche per accorciarla. È una riflessione sulla famiglia in senso più ampio. Parla di responsabilità e aspettative, affetti e sensi di colpa,  libertà e senso del dovere: “se fai sempre quello che ti chiedono gli altri non vale la pena di vivere”; è come sempre, alla fine, una riflessione sull’amore: “gli amori impossibili sono quelli che durano tutta la vita”.  Entrambe frasi della nonna, che si fa allo stesso tempo personaggio e voce narrante, silente durante e manifesta a conti fatti. Infine, stando a Ozpetek, pare che il film sia “principalmente la storia di un padre e di un figlio”,  ma ad essere sinceri non è la prima cosa che viene in mente.

Nel dipanarsi della vicenda si susseguono per lo meno due – volute e brevi – false piste narrative, collegate entrambe al personaggio di Nicole Grimaudo: la prima sulla possibile redenzione di uno dei fratelli che potrebbe cedere al fascino dell’innamoratissima di lui donna dalle spalle asimmetriche e l’altra, già prima di questa in verità, sul suo reale orientamento sessuale che pare in un preciso momento aver ingannato tutti. In quest’ultimo senso il film sembra a un certo punto fare addirittura un movimento inverso per cui, a dispetto dell’originalità del fattaccio, si ventila una onnipresenza dello stesso, per quanto non immediatamente visibile a tutti ( in questo caso l’anacronistico di sopra avrebbe dovuto dare ragione a una spietata attualità).
La marca autoriale è spesso chiara, soprattutto nelle riprese danzanti tra i commensali.

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