Subiamo da sempre il fascino dello sguardo rotante di Amanda Seyfried. Dopo aver visto anche Lovelace però dobbiamo rassegnarci al fatto che – forse – fra gli oltre ventidue film della bella attrice statunitense, non se ne salva nemmeno uno.

Anche nel nuovo biopic della coppia Robert Epstein e Jeffrey Friedman dedicato nientedimeno che al famigerato caposaldo del porno Gola Profonda, l’interprete di Cappuccetto Rosso Sangue offre una prestazione sicuramente convincente. Nella scena sul set fotografico per preparare la locandina finale del film nel film, per esempio, la Seyfried riesce a mettere in piedi un portamento ingenuo e al tempo stesso imperioso assolutamente conturbante.

L’estro della protagonista e di tutto il cast di Lovelace però non riescono a tenere a galla la fragilità di un’opera che aveva in mano un soggetto a dir poco esplosivo, ma che finisce per appiattirsi su pochi e prevedibili dettagli.

I registi Epstein e Friedman con il loro precedente Urlo, avevano realizzato un film forse non compiuto, ma che con tantissime sfaccettature omaggiava appassionatamente tutta la poesia di Allen Ginsberg. In Lovelace i due autori si lasciano sfuggire tutto il marcio e il fascino controverso dell’ambiente dietro il Porno gestito dalla malavita italoamericana per concentrarsi nel rapporto tragico e manesco di Linda col marito e la famiglia conservatrice della madre. Volendo ribadire in modo insistente candore e la presunta ingenuità della porno attrice Boreman, forse i due finiscono per ridimensionare anche la carica trasgressiva e il momento di piena libertà sessuale in cui si realizzava il tutto. Al confronto il famigerato e imperdibile Boogie Nights di Anderson sembra quasi un Kolossal politico. In questo senso nell’intenzione di filmare il conflitto tra i corpi e le dinamiche di un controllo psicologico tra partner è riuscito ad essere molto più solido e convincente Dietro i Candelabri. Solo rimanendo nel chiuso asfittico di una coppia Soderbergh era riuscito a dire molto di più su una stagione di eccessi e tradimenti. Nel retro dei camerini di spogliarelli di second’ordine in questo senso era riuscito a trovare un poetica inarrivabile anche Amalric in Tournèe. Senza ambire a raccontare un’epopea o retroscena scabrosi il regista francese aveva sfiorato corpi e delusioni delineando sconfitte interiori e slanci pulsionali irresistibili.

Vedendo Lovelace, temiamo che Epstein  e Friedman recentemente siano solo rimasti affascinati giusto dalle parrucche di American Hustle, senza provare a replicarne la complessità dei i trucchi e la profondità delle bugie che raccontava. Anche il modo in cui si filma velocemente la conversione di Linda e la sua presunta ribellione al mondo del porno sembra impostato solo nell’ottica del recupero del rapporto con la madre (Sharon Stone) estromettendo tutto il resto. Anche questo è emblematico di un indirizzo che tende in tutto il film sempre a semplificare e mai ad approfondire. Peccato, perchè l’uso vorticoso dei flash back avrebbe potuto essere valorizzato in uno scenario anche solo leggermente più complesso.

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