Homme au Bain di Christophe Honoré, presentato in competizione internazionale al Festival di Locarno, è un film d’amore toccante, tenero, coraggioso con un protagonista d’eccezione: François Sagat, star di cinema porno, nel ruolo di Emmanuel.

Homme au bain, ci racconta la fine della relazione sentimentale fra due uomini: Emmanuel ed Omar. L’irruenza della passione che li ha uniti ha finito per distruggere la loro coppia; Omar, il più giovane, parte per alcuni giorni in viaggio a New York, al suo ritorno Emmanuel dovrà aver lasciato per sempre l’appartamento in cui hanno vissuto insieme.

Nel corso del film assistiamo al “dopo” di questa separazione vissuto in due luoghi diversi: la periferia parigina per Emmanuel, New York per Omar; e in due maniere diverse: sofferenza e lutto per Emmanuel, liberazione e riscoperta di sé per Omar.

Mentre Omar ha un colpo di fulmine per un ragazzo incontrato per caso a una conferenza di Chiara Mastroianni a New York, Emanuel, prigioniero del suo dolore, moltiplica le avventure effimere con dei giovani del quartiere.

Homme au bain è la cronaca di un viaggio, interiore per Emmanuel, geografico per Omar; al suo ritorno in Francia il ragazzo non troverà più il suo ex-amante in casa ma Emmanuel gli avrà lasciato, come ultimo ricordo e segno tangibile del suo amore, un ritratto disegnato con foga, passione e infinita tristezza su uno dei muri dell’appartamento durante la sua assenza.

Homme au bain è certamente un’opera a parte nella filmografia di Christophe Honoré.Film-laboratorio, esperimento formale e captazione dell’intimo Homme au bain sembra segnare un momento di riflessione, una sorta di pausa, in cui il regista si ferma a ri-pensare, de-costruire e ri-costruire in una forma minimalista il suo universo visuale e narrativo.

Honoré rinuncia qui ad una messa in scena tradizionale ed alla costruzione di dialoghi densi e complessi, com’è sua abitudine, optando per una forma ibrida che associa una parte di carattere semi-documentario, improvvisata e girata con una semplice macchina fotografica, ad una parte filmata in maniera classica anche se con molta più libertà e spontaneità rispetto ai suoi lavori precedenti.

Nonostante ciò Homme au bain è un film di Christophe Honoré. Vi ritroviamo infatti dei soggetti cari al regista come il tema del lutto, dell’erranza interiore, dell’amore come dannazione e salvezza, il suo gusto per le canzoni che irrompono nella finzione amalgamandosi organicamente all’azione, la sua propensione per un’atmosfera realista e a-temporale al contempo, la sua ammirazione per i maestri della Nouvelle Vague, fonte costante d’ispirazione.

La forma atipica del film, il settimo nella filmografia di Honoré, è dovuta in gran parte alla genesi peculiare di questo progetto. Homme au bain è, all’origine, un’opera di commissione proposta al regista dal Teatro di Gennevilliers – un quartiere “sensibile” al nord di Parigi – e destinata a diventare un cortometraggio.

Il regista coglie l’occasione di andare a girare, per la prima volta, in periferia. Poi, quasi impercettibilmente, le cose si mettono in moto generando un desiderio più complesso e dando origine ad un’opera ben più ambiziosa di quella prevista all’inizio.

Il film si è pian piano andato costruendo in maniera binaria: come contrappunto alla periferia parigina si è presentato, un luogo lontano e radicalmente diverso come New York, come pendant alla mascolinità e alla fisicità scultorea e costruita di François Sagat si è imposta la femminilità, il volto meraviglioso e la naturalezza di Chiara Mastroianni, attrice feticcio del regista.

Da un punto di vista formale, ad una messa in scena di tipo più tradizionale della parte girata a Gennevilliers, fanno eco le immagini amatoriali, rubate, titubanti, sfocate, mosse, gli zoom a sproposito, filmate a New York. All’interno di questa struttura fatta di opposizioni e corrispondenze, Homme au bain si è venuto a costruire come una specie di diario filmato alla Mekkas o come una storia di finzione improvvisata fra amici alla maniera di Warhol. Al film partecipano da un lato, degli attori non professionisti scelti, nel corso di un casting selvaggio per le strade di Gennevilliers, per interpretare i giovani amanti di Emmanuel, dall’altro vari amici del regista, venuti a dargli una mano in quest’avventura cinematografica, come l’attrice-cantante Kate Moran e lo scrittore americano Dennis Cooper.

Se i film di Christophe Honoré devono di solito molto al mondo della letteratura, non solo perché sono spesso adattamenti di modelli letterari illustri ma anche perché il regista è lui stesso scrittore e scenarista, Homme au bain trova il suo modello artistico  nell’universo della pittura. Il titolo stesso del film si riferisce all’omonimo quadro  di Gustave Caillebotte che ritrasse alla fine dell’ottocento un uomo nudo nell’atto di uscire dal bagno e di asciugarsi le spalle creando, all’epoca, un certo scandalo: la nudità era riservata fino allora esclusivamente a delle rappresentazioni mitiche ed eroiche ma certamente non  realistiche del corpo maschile.

Honoré riprende nella forma di un “tableau vivant”  il soggetto del quadro filmando, nella scena iniziale, il corpo di François Sagat di spalle nello stesso atteggiamento del quadro di Caillebotte. In realtà tutto il film è costellato di riferimenti alle arti visuali come la bella sequenza in cui una serie di rappresentazioni pittoriche di “donne al bagno” irrompono, con un ritmo di montaggio rapidissimo, in una scena onirica d’amore fra François Sagat e Chiara Mastroianni.

Un altro elemento caro al regista, la presenza delle canzoni come parte integrante del discorso narrativo, riemerge in Homme au bain punteggiando la trama di brevi a-parte musicali. Diversamente da quanto accade nei suoi film musicali – Les Chansons d’amour, La belle personne – le canzoni non vengono qui interpretate dagli attori ma sono semplicemente ascoltate, canticchiate o ballate come è il caso in una scena da antologia in cui Sagat improvvisa un balletto erotico-comico mentre sta facendo le pulizie di casa sullo sfondo delle parole dure e sconsolate di una canzone che tratta di separazione.

Honoré si diletta ad operare nel film un ribaltamento di ruoli affidando ad un’attrice del calibro di Chiara Mastroianni la funzione di una semplice presenza, di una comparsa di lusso. L’attrice è filmata in tutta semplicità, senza trucco, senza luci, in modo spontaneo; la vediamo passeggiare per New York, visitare un museo, incontrare degli studenti, sostare in una camera d’albergo.

A François Sagat, abituato a fornire delle performances di ordine sessuale davanti all’obiettivo, il regista offre invece il ruolo vero e proprio di protagonista.  L’interpretazione di Sagat é una piccola gemma; un’espressione di sensibilità e di vulnerabilità virile si disegna in tutta sobrietà sul suo volto,
passa come un velo di tristezza nel suo sguardo, senza pathos, senza eccesso con un pudore ed un ritegno profondamente commoventi. Certamente uno dei tratti più belli di questo film è il contrasto fra questo corpo forte, costruito, massiccio e l’espressione del volto che tradisce, suo malgrado, un muto dolore per la perdita della persona amata.

Come Emmanuel abbandona il suo corpo all’obiettivo, il regista stesso sembra qui mettersi a nudo ed offrire al suo pubblico – con un gesto audace e non privo di rischi – un’opera molto intima e profondamente commovente nella sua fragilità.

La reazione del pubblico, in maggioranza vacanziero, che riempiva l’enorme sala del Fewi alla prima è stata abbastanza violenta. A parte le molte defezioni durante la proiezione, il film è stato accolto alla fine con pochi applausi e molti fischi dimostrando come, ancora ai giorni nostri, la rappresentazione esplicita dell’amore carnale fra due uomini possa scioccare.

 Homme au bain non è un film pornografico; certo le scene di sesso sono molte e filmate in maniera libera e liberatoria ma sono soprattutto espressione di tenerezza, affetto, gioia e anche di un’immensa melanconia.

Homme au bain è un bellissimo, anche se anticonvenzionale, film d’amore!

 

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One thought on “Locarno 2010 / HOMME AU BAIN, gli amori al maschile

  1. Bella recensione, Maria Giovanna, me l’hai fatto anche rivalutare!
    Approfitto anche per annotare qui la suggestione che già ti dissi dal vivo. Tutta la parte girata a New York è filmata in soggettiva di Omar, per cui lui – il suo corpo – non è mai visibile. Una bella vertigine, visto che contemporaneamente, dall’altra parte, a Parigi, Emmanuel sta elaborando il lutto per la sua assenza…
    Comunque a posteriori si può davvero dire che, tra questo film e L.A. Zombie, Sagat è stato IL personaggio del festival!

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