di Serena Soccio/Dopo Housing, che raccontava il dramma e la paura di chi temeva a lasciare anche solo per un istante la casa popolare in cui viveva per il timore che qualcuno potesse subentrare occupandola (il diavolo?), Federica di Giacomo torna in un gioco linguistico e di senso a parlare di possesso, di invasione o meglio di possessione. Liberami, il cui riflessivo implica già dal titolo un coinvolgimento personale, è un documentario coraggioso che si è guadagnato il premio speciale nella sezione Orizzonti a Venezia, sfidando con un linguaggio schietto e originale evocazioni letterarie e cinematografiche ampiamente rappresentate nel genere horror.

Si situa in un territorio tra antropologia e contemporaneità che non ha spazio per la fiction se non nella costruzione narrativa data dal montaggio. La necessità di indagare l’ossessione ai tempi della crisi e incrociarla con dati sconcertanti, al di la dell’ilarità, per i quali si configura una storia della possessione contemporanea e relativo incremento di esorcismi, è il pretesto da cui pare parta l’autrice. In sorta di globalizzazione demoniaca che oltre le evidenti metafore e considerazioni etico-politiche (la possessione è un fenomeno in cui una entità culturale, dio, angelo, demone, spirito, si impadronisce dell’interiorità e del corpo di un soggetto sostituendosi a lui) Di Giacomo si trova a maneggiare, impegnandosi in una ripresa della realtà nella quale si immerge e con cui entra in relazione, una materia viva e uno spaccato di presente che fa riflettere.

Si parte da un microcosmo come spesso succede all’incedere antropo-sociologico, da un fatto preciso, la documentazione dell’attività di due chiese a Palermo in cui costantemente ancora oggi, si svolgono esorcismi e dove Padre Cataldo (improbabili cappellini di lana e panza volitiva) svolge meglio di qualsiasi Asl o trattamento sanitario obbligatorio la liberazione dal maligno, mescolando antichi rituali come l’acqua benedetta e il sale, a tecniche decisamente più tecnologiche quali l’esorcismo per telefono, con tanto di auguri di buon natale e “mi saluti suo marito”. Esilarante!

E’ brava Federica di Giacomo a bilanciare reale e grottesco, a introdursi con uno sguardo non invasivo a sua volta, nel dolore delle persone che riprende, delicata ma efficace dietro una macchina da presa che suggerisce ma non si impone e non giudica, si limita a registrare e a montare con un’onestà rara, senza troppi artifici e ammiccamenti (a differenza invece di qualche ultimo premiato documentario).

liberami2

La narrazione di Liberami si costruisce intorno a questo omaccione accomodante e tutto sommato generoso che con fermezza e sapiente ignoranza (la sicurezza del simbolico della chiesa ancora approdo consolatorio rispetto a un deserto di senso che non dà risposte altrove) cerca di dare conforto a tutti: al tossico respinto e abbandonato dalla famiglia che per questo crede di essere posseduto, alla malata di bipolarismo che si autosuggestiona, alla ragazza su cui i genitori stessi praticano infestazioni ed esorcismi familiari, all’uomo che non riesce a giustificare il suo desiderio di atti immondi, in un paesaggio fatto di brutti interni e miseria che inchioda la sicilianità e buona parte del meridione tra riti arcaici, credenze popolari e un senso di inadeguatezza e indifferenziazione globale da cui non si riesce ad emergere se non attraverso una follia mitomane.

Anche la naturalizzazione della possessione è peculiare, i personaggi l’accettano come una “malattia” qualsiasi e si recano dall’esorcista (la chiesa che si erge ancora una volta e ancora di più in questo momento ad unica soluzione possibile) come andassero a teatro, con “la testa ben aggiustata” dal parrucchiere a cui addirittura confidano che “dopo la crisi viene loro fame e così ingrassano”.

Ma di teatralizzazione forse appunto si tratta, di mettere in scena un malessere personale di incarnare il male di una società che in un circolo vizioso produce e distribuisce disagio e che non riesce a sua volta a contenere, diventando straripante. Teatro di una finta comunità fatta da monadi individualiste (ciascuno pensa a sé stesso e alla sua rappresentazione espiatoria o salvifica) in cui nessuno si prende la responsabilità di questo malessere ed è preferibile relegarlo all’esterno, in un vuoto che non trova identificazione e che pur di essere ascoltato, visto e scacciato da sé è disposto a farsi chiamare demonio.

 

 

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2 commenti su “Liberami-Il Diavolo ai tempi della crisi

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