Il buon uomo di Berlino Est
 
Sembrava fosse un caso di routine, invece lo spia della Stasi Gerd Wiesler era di fronte a un punto di svolta per la sua vita. Il ben ricercato dramma Le vite degli altri del giovane regista tedesco Florian Henckel von Donnersmarck non parla di “Estalgia” (ndr:nostalgia) ma dell’ostinazione dell’individuo in un sistema totalitario. 

Una soffitta a Berlino est, meta degli anni Ottanta. Quel piccolo uomo davanti all’apparecchio di intercettazione non batte ciglio. Senza espressione rimane seduto davanti a strumenti complicati, accumulati nella piccola stanza. Il suo sguardo freddo passa sui pulsanti, i cavi e i microfoni. Con attenzione registra ogni rumore che arriva dalle stanze sotto di lui attraverso un sistema di intercettazione che copre tutta la casa. Con un gesto veloce cambia la posizione del regolatore audio della camera da letto e ne altera il volume: respiro, frusciare e qualche volta un sussurrio arriva dai microfoni. Poi, una risata a bassa voce. Piccole gocce di sudore nascono sulla fronte pallida del capitano della Stasi. Origlia attentamente, scrive i numeri e le parole. Quando il sussurrio finisce e i rumori del respiro diventano più forti e veloci, rimane ancora un po’ con l’orecchio teso prima di abbassare il volume. Scrive nel suo quaderno: “13 agosto 1984, ore 23:59, HGW XX/7, la coppia commette azioni matrimoniali” e lascia la stanza al collega che è appena entrato. 

Attraverso la storia della spia della Stasi Gerd Wiesler e il suo oggetto di osservazione, una giovane coppia d’artisti, il regista Florian Henckel von Donnersmarck ne Le vite degli altri racconta la collisione tra politica e individuo nel sistema totalitario della ex Repubblica Democratica Tedesca.  

Il capitano Wiesler (brillantemente recitato da un ex-cittadino della DDR Ulrich Mühe) è uno specialista negli interrogatori dalla Stasi. Perfino i suoi colleghi lo temono per i perfidi metodi con i quali riesce quasi a prevedere le bugie delle sue vittime. Il suo capo e amico di gioventù, Anton Grubitz (Ulrich Tukur), lo mette sulle tracce dell’autore e regista di teatro Georg Dreyman (Sebastian Koch) che è sospettato dalla Stasi di non essere più “allineato”. Wiesler però non sa che il ministro della cultura Bruno Hempf (Thomas Thieme) vuole portare avanti quest’indagine per motivi completamente diversi: Hempf vuole eliminare Dreymann per stare con la sua compagna, la bella attrice Christa-Maria Sieland (interpretata da una convincente Martina Gedeck) con la quale intrattiene una relazione amorosa. Anche il suo capo, il collonello Grubitz, cerca di allettare Wiesler sfruttando il suo fiuto per il caso, promettendogli un avanzamento di carriera in caso di successo. Ma quando Wiesler comincia a osservare la giovane coppia ancora non immagina che un semplice caso di routine gli cambierà la vita.

All’inizio svolge con successo e in modo professionale il suo lavoro, successivamente le occhiate intime nel mondo dell’arte e le complesse relazioni interpersonali non lo lasceranno indifferente. Lo affascinerà soprattutto la compagna del regista Dreymann, la carismatica attrice Sieland. Wiesler partecipa come un vampiro alle vite degli altri e di nascosto entra nei loro conflitti, nei loro dubbi e nelle loro preoccupazioni quotidiane. Questa testimonianza non solo risveglia la sua fame di vita, soppressa a favore della propria ossessiva fedeltà alla disciplina di stato, ma presto gli permette anche di conoscere i suoi “oggetti di studio” più di quanto loro conoscano se stessi. Riesce a vedere meglio di loro che, al di là dell’apparente e felice fama da artisti, la vera libertà dentro il sistema chiuso della DDR è limitata. La dipendenza dalla grazia dei mecenati statali è ineluttabile.

Significativamente l’autocontrollo di Wiesler e la sua fedeltà allo Stato cominciano a erodersi proprio nel momento in cui nella vita della coppia nasce un vero senso di protesta contro il regime.

Lo scrittore-regista Dreymann, che all’inizio dell’osservazione era ancora in linea con il sistema, dopo il suicidio del suo amico-scrittore Albert Jerska (Volkmar Kleinert) comincia ad assumere le vesti di un critico convinto. Con l’aiuto di un editore dell’ovest, pubblica un testo sull’alta frequenza dei suicidi nello stato della DDR (che era davvero un fatto occultato dal regime). Lo scrittore Jerska che contrariamente a Dreyman era sottoposto al divieto di esercitare il suo mestiere, per il suo compleanno regala a Dreyman la partitura di un pezzo di pianoforte intitolato “La sonata del buon uomo” – riferita al pezzo teatrale di Brecht “Il buon uomo di Sezuan” – che doveva incitare alla protesta intellettuale contro il regime.
 

Anche la compagna di Dreyman, Christa-Maria Sieland, comincia a tormentarsi con scrupoli di coscienza per la sua relazione col ministro della cultura Hempf. Lei cerca di sottrarsi al suo mentore potente che però la comincia a mettere sotto pressione. Attraverso l’osservazione della coppia e della loro sofferenza, Wiesler ha sempre più chiare le contraddizioni e l’inumanità del sistema della Germania dell’est. La partecipazione ossessiva del ”piccolo fratello” alle vite degli altri comincia pian piano e inevitabilmente a trasformarsi in un atteggiamento altruista. Quando la coppia diventa il bersaglio della Stasi, Wiesle cerca di proteggerli e si immerge sempre più in un doppio gioco pericoloso che termina in una catastrofe.  

Con precisione sconvolgente Florian Henckel von Donnersmarck disegna le fatali costellazioni tra vittime e “manovali
dello Stato” nell’ultimo periodo della DDR. Smaschera il debole sistema totalitario del paese che già anni prima della sua caduta era corroso da lotte interne al regime e dalla disperazione schizofrenica dei suoi cittadini. Da notare è che il regista non solo distrugge l’idea di una decisa resistenza del gruppo degli artisti e intelletuali della ex DDR, ma anche l’opinione diffusa che fosse mancata completamente una resistenza all’interno della Stasi. Gli artisti, gli intellettuali, i vicini di casa o gli impiegati statali, ognuno di loro era solo di fronte alla propria coscienza nel decidere come resistere alle strutture totalitarie.
 

Nel caso di Wiesler l’empatia umana vince sull’ideologia, quasi involontariamente – e questo davvero ispira speranza – Wiesler si trasforma da voyeur delle vite degli altri a voyeur della propria emotività che supera il sistema in cui vive.  

In Germania, che la storia dell’impiegato HGW XX/7 del film sia rappresentativa delle spie della Stasi, è una delle questioni più discusse. Neanche da dimenticare è che Erich Mielke, il ministro per la sicurezza di stato della DDR, non aveva alcuna pietà per i traditori e per i profughi della Repubblica Democratica Tedesca. All’inizio degli anni Ottanta, Gerd Trebeljahr e Werner Teske furono condannati a morte per essersi rifiutati di prestare il loro servizio di spionaggio nella Germania orientale (Teske p.e. il 26.6.1981). Il film in questo senso può essere letto come un omaggio a tutti questi eroi silenziosi che, a modo loro, nei piccoli come nei più eclatanti fatti, hanno resistito alla disumanità del sistema. Merita ricordare che una parte di questi episodi rimane fino a oggi nascosta nei documenti della Stasi (un archivio esplosivo che ancora non è stato rivisto completamente).  

Così la vita di Gerd Wiesler comincia solo dopo la caduta del muro di Berlino. Nell’ultima scena del film, Wiesler, anni dopo il suo lavoro per la Stasi, in una libreria trova per caso un libro “La sonata del buon uomo” scritto da nient’altri che lo scrittore Dreyman. Apre la prima pagina e legge: “Per HGW XX/7 – con gratitudine”.

 

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