[***12] – Dispiace aver visto questo film solo all'ultimo spettacolo dell'ultimo giorno di programmazione e poterne scrivere solo ora che non è più in sala. Dispiace non aver contribuito al tam tam su cui si basa la promozione e la visibilità di tante notevoli piccole produzioni indipendenti come questo Solitudo di Pino Borselli. Ora, il manuale del buon critico prescrive la canonica precisazione: produzioni piccole in termini di portafoglio, di budget, ma grandi, ambiziose, in senso estetico. "L'avanguardia di oggi" le definirebbe lo slogan radiofonico di un'emittente romana. E forse l'etichetta fa al caso nostro perché, è vero, film girati e montati con pochi mezzi, pochi uomini e poche risorse esistono da quando esiste il cinema, ma c'è una differenza forse non evidente, eppure sostanziale, tra le produzioni indipendenti di oggi e quelle di qualche anno fa. Parte del fenomeno è dovuta alla ruggente innovazione tecnologica che sta sconvolgendo un po' tutta l'industria cinematografica da un decennio a questa parte; il resto, almeno in Italia, lo fanno i sempre minori finanziamenti pubblici erogati in favore della cultura insieme alla stranota persistente assenza di un vero tessuto industriale in grado di coprire tutti i territori compresi tra l'infimo e l'eccellente. Succede, allora, che tecnici e artisti professionisti riescano ad alternare lavori contrattualmente e sindacalmente ortodossi a del volontariato militante e integralista dove la creatività, e quindi il linguaggio, è libero di svilupparsi senza patire le castrazioni, le coercizioni, le censure e le autocensure dei vincoli commerciali

Solitudo ha una struttura narrativa molto semplice: una voce fuori campo introduce la figura di uno scrittore/sceneggiatore/autore che immagina una partita a poker durante la  quale uno dei quattro giocatori racconta la favola metropolitana di Grande Capo e Little Baby. Le parole danno vita alle immagini che non sono solo funzionali alla storia ma trattengono già una loro narrazione. Molto, forse troppo teatrali quelle della partita a poker; ironiche e poetiche, a volte surreali, quelle del gigante buono GC e della fatale LB, immagini inquadrate e fotografate con grande personalità, sicuramente le parti migliori del film. Borselli, illustratore e fumettista, sceneggiatore e protagonista del film oltre che regista, e il direttore della fotografia Daniele Poli (Boris) hanno scelto l’HD e un bianco e nero dai forti contrasti per ricreare il loro personale ritratto di Roma. E’ una Roma-Mondo, i personaggi ripetono “siamo nel caos” e infatti siamo al Pigneto e al Mandrione, ma potremmo essere in un basso di Città del Messiso o tra le pagine di un fumetto o dentro un videoclip (il regista è anche autore dei testi di tre pezzi della colonna sonora).

A fine proiezione, l'incontro con il regista. Non proprio il classico forum dopo il cinema, piuttosto un incontro casuale, per strada, proseguito al bar. Pino è molto orgoglioso della sua creatura e a ragione. Solitudo non ha avuto finanziamenti pubblici, non ha trovato nessuno studio disposto a fargli da ufficio stampa e non ha trovato distribuzione, a parte i gestori del Nuovo Cinema Aquila che, bravi e coraggiosi, avendo visto il film, a giugno dello scorso anno, gli avevano offerto subito la sala (il film è poi uscito solo ora, aspettando i visti ministeriali, giunti infine con un V.M. 14!). Paradossalmente, non era stato pensato per le sale, ma per i festival: ad oggi, nessun festival di cinema indipendente ha ancora pensato di selezionarlo. Autoprodotto dagli stessi che hanno preso parte alla lavorazione (la Outsiders Movie è composta da sole cinque persone), sia il cast tecnico che quello artisticoè fatto da soli professionisti (solo uno degli attori è un dilettante, ma nessuno indovinerebbe mai quale…) e nessuno ha percepito nulla: tutti hanno lavorato per la sola condivisione del progetto estetico e artistico. Quattro mesi di prove video, girato un anno e mezzo fa in soli 17 giorni, costo totale 6000 euro, autofinanziato con eventi e serate organizzate al Fanfulla 101 (altra realtà attiva del Pigneto). Va da sè che Pino abbia molto da ridire sugli spazi di visibilità a disposizione di quei film, e sono sempre di più, che non godono di sovvenzioni, benedizioni e quant’altro termini in “oni”. Ma Grande Capo non si scoraggia e pensa al prossimo lavoro; nel quale però, dice, “almeno un gettone di presenza lo vorrei pagare”.

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