The big short, titolo originale della pellicola, trae spunto dal libro di Michael Lewis The big short –Il grande scoperto. Come noto, la crisi americana, iniziata alla fine del 2006, albeggiò grazie ad un surplus di vendite di subprime, prestiti ad alto rischio finanziario, elargiti a piene mani a tutti coloro che, pur non rilasciando alcuna garanzia nell’apertura di un mutuo, venivano soddisfatti da qualsiasi istituto bancario americano. Ma fu sicuramente tra il 2007 ed il 2008 che scoppiò la bomba, quando i debitori non ebbero più la possibilità di star dietro alla crescita continua dei tassi, divenuti estremamente variabili per forza di cose. Da qui l’inaspettata recessione globale, seconda solamente alla grande depressione del 1929. Un pugno di giovani speculatori apparentemente senza scrupoli, si porranno al centro dell’attenzione con la bizzarra volontà di scommettere sulla crisi che sarebbe seguita circa ben cinque anni dopo, scommessa che li trasformò in gente estremamente ricca. Fu un fenomeno che partì da individui scoordinati e solitari – come Michael Burry, un grande Christian Bale – o non troppo esperti e scellerati – come Charlie Geller e Jamie Shipley – ma anche da persone professionalmente molto valide e allo stesso tempo fuori dal coro, come il narratore della storia, voce fuori campo, Jared Vennett (Ryan Gosling), ed un affascinante e davvero sorprendente Steve Carell nella parte di Mark Baum, un uomo che seppur scosso per non aver saputo bloccare il suicidio del proprio fratello si dimostra estremamente intraprendente nel proprio lavoro. La convinzione di azzardare avvenne, tra i personaggi, in maniera molto differente: il bislacco Burry non ebbe dubbi fin dall’inizio, come non ne ebbe Vennett che addirittura convinse Baum ed il suo team. Ed anche il banchiere Ben Rickert (Brad Pitt) fu sicuro ben presto dell’esattezza della scelta. Perché comunque vennero effettuate le dovute indagini – chi avrebbe mai puntato sul crollo quando la più alta finanza proclamava ai quattro venti una solidità inattaccabile? Peccato che tutta la stabilità – aria fritta insomma – si sia basata sul nulla – reale fraudolenza quindi – e che, a ben guardare, i segni della crisi erano già nell’aria, tra interi quartieri di villini in vendita e morosità crescenti verso gli istituti. Oltre a contratti inefficaci. Quel che più colpisce è l’ipocrisia del mondo della finanza, dove dei colpevoli della crisi non uno è finito in galera, mentre possiamo contare il fallimento di società come la Lehman Brothers Holdings Inc, con il suo personale, ma soprattutto le innumerevoli persone che persero il lavoro e restarono senza tetto. Con gli effetti che ancor oggi subiamo. Ma tornando a questo documento, che innegabilmente costituisce un fulmine a ciel sereno spaventosamente farsesco e reale, il pregio maggiore di McKay, oltre a quello di aver originalmente mostrato e spiegato un argomento davvero ostico, risiede senz’altro nella capacità di illustrare brillantemente il mostruoso impero economico finanziario e la sua egemonia sulla gente, ignara di affidare la propria esistenza a delinquenti incravattati. Singolare l’intervento amichevole di icone del calibro di Selena Gomez, del re degli chef, o ancora del sex symbol Margot Robbie, per raccontarci, quali rafforzativi, che “funziona” proprio così. Incredibilmente. Anche quando Baum va a chiedere ad un’alta dirigente di un istituto famoso perché continuino a concedere i mutui, viene risposto che altrimenti le persone andrebbero da un’altra parte… E viene inevitabilmente da pensare, stando invece dalle nostre parti, alle obbligazioni della Banca d’Etruria e del Lazio. Gli sciacalli investitori sulla disgrazia altrui, i protagonisti che all’inizio del film possono darci un senso di repulsione, si ridimensionano positivamente e paradossalmente in questa vasta presentazione, alla fin fine nuotano come i pesci più piccoli in un mare nel quale si sfugge all’inesauribile catena alimentare dove gli ultimi non si alimentano mai, solamente preda per i primi. Ci scapperebbe quasi un applauso se la tragicità dei fatti non avesse il sopravvento. Pur essendo allergica come i più al mondo finanziario, riluttante per i primi venti minuti di proiezione al punto tale da pensare di non essere all’altezza della visione, tra swap e obbligazioni collaterali, ho dovuto ricredermi, conquistata, di scena in scena, giungendo ad un finale che lascia senza parole, pur nella sua conseguente semplicità. Ed ho pensato di aver assistito ad uno dei migliori ed originali lavori cinematografici effettuati in questi ultimi anni.

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