[ *12] – Il Grande Sogno di Michele Placido, film decisamente poco riuscito, paga maggiormente in sede critica per aver esordito all’interno di una competizione cinematografica internazionale, per di più in concorso.  Al ricorrente bisogno dei media, in vena di campanilismo cinematografico, di chiedersi perché tanta scarsità di premi verso il cinema nostrano, occorrerebbe di contro, sostituire l’esigenza di far luce sulle dinamiche che portano i selezionatori ad inserire in concorso simili prodotti cinematografici.

Il Grande Sogno ci porta nelle vite, crescite e speranze di tre giovani di quel complesso periodo storico chiamato sessantotto, calandoci nella vita dei tre protagonisti: il provinciale un po’ sperduto, la borghese ribelle, il rivoluzionario un po’ dannato. Gli attori se la cavano egregiamente, Scamarcio spicca nell’interpretazione di Nicola, alter ego del regista che inserisce nella vicenda questa figura autobiografica di giovane pugliese divenuto celerino, che lambisce la contestazione per poi prendere la strada della recitazione. Sullo sfondo tutti i topoi del periodo storico, nessuno escluso: le iniquità educative, la famiglia autoritaria, l’occupazione, gli scontri, il sesso, il Ché, gli scioperi. Qui risiede il difetto più grossolano del film: una sequela di situazioni e temi appena sfiorati che si susseguono in un flusso fluido e cadenzato; alcuni di essi sono attraversati da qualche dialogo, ma sembrano lì solo perché è giusto che ci siano, perché definiscono per antonomasia il ’68. La storia va avanti senza bisogno di indagarli troppo, senza sfumature o indugi, come se su di essi fosse già stato detto tutto, senza bisogno di aggiungere altro. Purtroppo non c’è quasi nessun robusto personaggio in grado di fare da contraltare all’agiografica partitura, solo la figura di Nicola infatti, (grazie alla memoria più genuina del regista che mette in campo se stesso), ci regala alcuni vaghi momenti emozionanti e inediti, come il provino per l’accademia d’arte drammatica o la relazione (veloce e sbrigativa anch’essa) con l’insegnante Laura Morante.

Il Grande Sogno non annoia, tutto si sussegue ad un ritmo tale da non lasciare questa sensazione: si è indotti a credere che quello scorcio di storia appena rappresentato porti successivamente ad altri sviluppi e indagini, ma si fa appena in tempo, nell’attesa di questa promessa, ad accomodarsi meglio sulla propria poltrona, che quella scena cede immediatamente il passo a quella successiva, castrandone la visione. Resta, per chi assiste alla proiezione, una sensazione di diffuse mancanze, di segmenti stagni. Acqua poco fresca che scorre sotto gli ordinari ponti del cinema italiano.

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