Un immenso libro aperto posto sul fondo a mo’ di quinta domina l’intera scena, ai suoi piedi vecchie sedie di legno ammonticchiate, a un lato uno scrittoio antico su cui è poggiata una macchina da scrivere, poi cianfrusaglie e ovunque libri: stipati, abbandonati, riposti alla meno peggio su scaffali o per terra. È l’interno decadente e sconnesso in cui si svolge per intero l’azione di Igiene dell’assassino, la pièce che Alessandro Maggi ha tratto dall’omonimo romanzo d’esordio (1992) della belga Amélie Nothomb. Il grande libro sullo sfondo, i suoi incombenti caratteri a stampa, sovrastano ed evidentemente soggiogano i due personaggi che abitano la scena, dichiarando sin dal principio che la loro è una storia già scritta: nessuna via di scampo gli sarà concessa dalla pagina stampata, fissata, per sempre depositata, che li riguarda e li contiene.
Lui è, appunto, il celebre scrittore Prétextat Tacht, ottuagenario già insignito del Premio Nobel per la letteratura, ma ora destinatario di una sentenza di morte inappellabile: affetto da una rarissima malattia che colpisce le cartilagini, gli rimangono due mesi di vita. Lei è semplicemente Nina, una dei mille giornalisti ansiosi di intervistare il grande Tacht e raccoglierne le ultime dichiarazioni prima della fine. Il dialogo tra la giovane reporter d’assalto e il cinico, razzista, misantropo, misogino eppure geniale scrittore, inizialmente impervio e continuamente «strozzato» dalla disparità delle forze in campo, prende progressivamente corpo grazie al paziente lavoro ai fianchi operato dalla ragazza, che riesce man mano a trascinare l’uomo in un vero e proprio interrogatorio. Oggetto della sua curiosità è l’unico romanzo – Igiene dell’assassino, appunto – che egli abbia lasciato incompiuto, molti anni prima; un romanzo che lei sostiene essere autobiografico e che proverebbe il fatto che Tacht è un assassino.
La scrittura di Amélie Nothomb, una delle autrici francofone maggiormente di tendenza, ventisei titoli all’attivo (Sabotaggio d’amore, Stupore e tremori, Metafisica dei tubi, Causa di forza maggiore) tra romanzi e raccolte varie tradotti in più di quaranta paesi, è una contaminazione raffinatamente pop di stili, ascendenze, umori diversi. L’ironia aguzza e le costanti aperture surreali, spesso collocate in snodi narrativi dall’alto potenziale drammatico, caratterizzano i suoi lavori, abitandoli di una levità sempre sorprendente.
Alessandro Maggi non sembra raccogliere la sfida di tradurre in immagini la densità spiazzante della parola nothombiana. Gli interessano soprattutto, di Igiene dell’assassino, le raffinate schermaglie dialettiche tra i due protagonisti disseminate nel testo e la possibilità di dar vita, attraverso di esse, al classico gioco al massacro privo di vincitori. Da qui la scelta di una messa in scena essenziale e bloccata nel suo programmatico rifiuto del dinamismo, che si affida rigorosamente all’osservanza delle tre unità aristoteliche affinché sia il conflitto psicologico a prevalere e guidare l’attenzione spettatoriale. La posta in gioco dei duellanti è lo smascheramento di Taft, che è poi lo smascheramento dello Scrittore, dello sdoppiamento artificioso che egli pretende tra «vita» e «testo». Il risultato, sulla scena, è un classico dramma da camera dalle continue fascinazioni metalinguistiche, convenzionale quanto sicuro nella conduzione, che esalta le doti del settantatreenne Eros Pagni, costretto dal ruolo alla sedia a rotelle e spesso recitante con il solo modulare della voce.
Igiene dell’assassino chiude il primo weekend del Napoli Teatro Festival Italia, apertosi con la cantante israeliana Noa al Teatro San Carlo e proseguito con uno degli spettacoli di punta, l’inaccessibile Makropulos Case di Bob Wilson. Alla seconda edizione della gestione De Fusco (dal 7 al 24 giugno e poi dal 25 al 30 settembre), la quinta complessiva, il NTFI cerca di lasciarsi alle spalle polemiche e scandali della scorsa edizione, poi chiusasi col botto nella coda settembrina grazie al Riccardo III della coppia Spacey-Mendes. Quest’anno il nome di punta è Peter Brook, che presenta in anteprima italiana The Suit, oltre a Matthew Lenton (apprezzatissimo qui tre anni fa per Interiors) che porta in scena Wonderland e al già citato Wilson. Non mancano poi i napoletani eccellenti, come Lina Sastri, Enzo Moscato, Licia Maglietta e i più giovani Latella, Iodice e Saponaro, mentre destano curiosità i due focus del programma, dedicati alla danza israeliana e al teatro di prosa argentino. Staremo a vedere.

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