UNA PARABOLA SULL’ALTERITÀ

Dopo aver completato i suoi studi cinematografici a Calarts, Lemos ha diretto una serie di cortometraggi di fiction e documentari degni di nota, ambientati sia in Grecia che negli Stati Uniti.

Modellato con un’osservazione accurata e approfondita della realtà, il suo primo lungometraggio Holy Emy, -dopo la sua prima mondiale nella sezione Cineasti del Presente del festival di Locarno, viene presentato al Thessaloniki Film Festival in concorso- riflette perfettamente le sue esperienze precedenti.

Nella visione iperrealistica di questo film gli eventi soprannaturali si fondono naturalmente con la vita quotidiana. La protagonista Emy, un’inquietante ragazza filippina che vive ad Atene con sua sorella maggiore Teresa, magnetizza la narrazione piangendo lacrime di sangue. Il suo corpo possente e misterioso ci mostra che non possiamo controllare tutto attraverso la razionalità.

Scritto con la complicità di Giulia Caruso, la suggestiva storia di Holy Emy è ispirata dai ricordi autobiografici di Araceli Lemos. Il film apre consapevolmente una discussione sul tema controverso dei poteri soprannaturali, della guarigione, della santità e della salute mentale. Passando dall’ammirazione allo stupore e dalla speranza alla paura, il nostro rapporto con coloro che presumibilmente hanno poteri di guarigione è infatti intriso di ambiguità.

Negli anni novanta, in un periodo di boom economico, in molte case greche c’era una donna di servizio filippina. Nel frattempo si è formata una solida comunità con una giovane generazione nata e cresciuta in Grecia. È proprio in questa comunità che la regista ha deciso di ambientare la storia di Holy Emy, offrendoci uno spaccato su una realtà mai prima trattata dal cinema greco contemporaneo.  Molto discreta, questa comunità vive un po’ in disparte con le sue abitudini, i suoi rituali e i suoi luoghi d’incontro. Questo aspetto del film è frutto di una ricerca appassionata sul terreno, durante il quale Araceli Lemos ha saputo instaurare un vero rapporto di fiducia con le persone che ha incontrato, coinvolgendole nel suo progetto. Se le due protagoniste Teresa e Emy sono interpretate da due attrici professioniste il resto del cast filippino è infatti composto dai membri della comunità filippina di Atene.

Partendo da questo nucleo sociale, il film si lancia verso una scoperta della città, traversandone i quartieri e spostandosi dal centro, dove abitano le protagoniste, al mercato del pesce di Pireo dove lavorano, passando poi per in una villa lussuosa su una spiaggia remota, per seguire più tardi la processione di Venerdì Santo ed approdare infine in un ospedale. Fluida ed inquisitiva la cinepresa di Araceli Lemos esplora uno spazio urbano dai mille volti, abbracciando il punto di vista delle sue tormentate protagoniste, prese fra l’ingerenza soffocante della loro comunità -la congregazione cattolica filippina  vede Emy come una strega- e i loro sforzi per integrarsi nella società greca.  

La storia si costruisce lentamente, a tappe, ma fin dai primi fotogrammi, una tensione sorda e una vaga sensazione di pericolo e di disagio, sottolineata dalla banda sonora, domina l’atmosfera della pellicola.

Il rapporto fra le due sorelle, intenso e possessivo, costituisce il perno narrativo della vicenda.

Al di là dell’affetto che le unisce, Teresa ed Emy non potrebbero essere più diverse. Teresa è conciliante, aperta, pronta ai compromessi e curiosa di conoscere la vita, Emy al contrario è riservata, solitaria, posseduta da forze e facoltà paranormali che sembra non riuscire a controllare.

Hasmine Kilip nel ruolo di Teresa, la sorella maggiore, e Abigail Loma in quello di Emy, sono assolutamente straordinarie nel trasmetterci la carica emotiva dei loro personaggi.

Le due ragazze sembrano essere sole contro tutti e cercano di proteggersi mutualmente in un ambiente ostile che cerca di sfruttarle e di trarne profitto.

Così il fidanzato greco di Teresa la molla subito quando apprende che è rimasta incinta, ma si fa di nuovo vivo all’improvviso quando si rende conto di potere montare un business mediatico sfruttando le lacrime di sangue di Emy.

Emy stessa che pensa di potere trovare lavoro e rifugio nella splendida dimora di una vecchia signora ricca e malata dovrà ben presto rendersi conto che questa donna interessata ed egoista non vuole altro che far fruttare la forza di guarigione di Emi “vendendola” profumatamente a tutta una corte di malati schierati nel salotto della casa.

Emy che sembra attraversare la vita come uno zombie, affascina ma spaventa. Abitata da forze che deve accettare e deve imparare a canalizzare la ragazza, vive questa sua ‘elezione’ come un male oscuro prima di capire che se può facilmente nuocere con la forza del suo pensiero, può anche salvare.

Minuziosa in ogni dettaglio, la materia narrativa densa di subplots e di personaggi secondari perfettamente delineati, percorre descrive un vero a proprio un rito di passaggio per le due ragazze. Se Teresa imparerà ad accettare la sua maternità, Emy accetterà la sua diversità, senza più vergognarsi e nascondersi.

Tessendo con parsimonia ed estro degli elementi di realismo magico e di body horror nella sua pellicola, Araceli Lemos ci offre una bella parabola sulla diversità, mostrandoci come prima di essere accettati dagli altri, siamo noi a dovere accettare noi stessi.

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